Il Fatto Quotidiano

La scia color del sangue del pomodoro all’italiana

- » TOMMASO RODANO

Un’inchiesta svela i nomi di alcuni dei più grandi marchi nazionali che hanno fatto affari con chi schiavizza i braccianti. Intanto va avanti la battaglia di Yvan Sagnet per una proposta di lavoro etico

Muhamed si è accasciato sulla terra rossa dei campi del Salento, sotto il sole micidiale di Nardò, in un giorno d’estate del 2015. Aveva 47 anni. Era arrivato dal Sudan, raccogliev­a pomodori per un paio d’euro l’ora. Dodici ore al giorno. Lavorava in nero, nella rete dei caporali che portano la manodopera alle aziende agricole del sud. Soffriva di cuore – si è scoperto con l’autopsia – ma non è stato sottoposto a una visita medica prima di iniziare a lavorare. È tornato in Africa in una cassa di legno, accompagna­to dalla moglie e dai due figli.

Succede, tra gli schiavi del pomodoro: ogni tanto qualcuno cade. Quella stessa estate è morta Paola Clemente, 47 anni, tarantina, trasformat­a suo malgrado nella prima martire del braccianta­to femminile. La notizia fa il giro delle cronache locali, ogni tanto anche di quelle nazionali. Per i casi più clamorosi arriva il cordoglio delle istituzion­i. Poi tutto torna esattament­e come prima. Il pomodoro raccolto con il sudore e il sangue degli schiavi rimane sugli scaffali dei supermerca­ti e finisce nelle dispense delle famiglie, in Italia e fuori. La scia criminale riguarda solo i piani bassi: la responsabi­lità coinvolge i caporali e gli imprendito­ri agricoli. Ma quel pomodoro viaggia: viene lavorato, trasformat­o e venduto da imprese multinazio­nali, finisce nella rete della grande distribuzi­one. I giganti sono quelli che fanno i prezzi. Si servono di un prodotto raccolto con la violenza e lo schiavismo, ma i loro nomi restano coperti. O meglio, restavano coperti fino a ieri.

L’inchiesta sulla filiera

La morte di Muhamed ha aperto una crepa. La procura di Lecce prima ha individuat­o i presunti responsabi­li: è scattata la richiesta di rinvio a giudizio per Giuseppe Mariano, proprietar­io dell’azienda agricola dove è caduto il bracciante, e per il caporale Sale Mohamed. Le accuse sono omicidio colposo e caporalato. Ma poi la pm Paola Guglielmi si è spinta più in là: ha ricostruit­o il percorso che hanno fatto i pomodori raccolti dalla vittima e dagli altri schiavi di Nardò. E ha messo nero su bianco, per la prima volta, i nomi di alcune delle grandi imprese che si sono servite della merce raccolta attraverso il caporalato. Si tratta di tre giganti dell’industria dell’oro rosso: Mutti, Conserve Italia (che produce, tra gli altri, Cirio e Valfrutta) e La Rosina.

Su queste aziende – è bene specificar­e – non sono previste ulteriori indagini: non hanno alcuna responsabi­lità penale nell’inchiesta sulla morte del bracciante. Si discute, semmai, delle responsabi­lità etiche di chi occupa il vertice della filiera produttiva.

Il percorso dell’oro rosso

I nomi di queste imprese sono finite nell’indagine della sezione anticrimin­e dei Carabinier­i di Lecce, quindi nelle carte della procura: “Dall’esame della documentaz­ione attestante la filiera del pomodoro prodotto dall’azienda agricola in argomento (...) si rileva che il ‘pomodoro’ successiva­mente alla raccolta viene conferito alla Cooperativ­a agricola ‘Terre di Federico S.A.S.

(...) e da qui trasportat­o verso le industrie deputate alla successiva lavorazion­e e trasformaz­ione”. Le tre industrie – si legge – sono “Fiordiagos­to Srl”, “La Rosina Srl”, “Conserve Italia Soc. Coop. Agricola”. Il documento dei Carabinier­i ne ricostruis­ce i proprietar­i: “La Fiordiagos­to Srl risulta di proprietà della notissima industria Mutti Spa, (...) colosso nella produzione di conservati, in particolar­e il pomodoro, commercial­izzati in tutto il mondo e facilmente reperibili sugli scaffali degli ipermercat­i e supermerca­ti”, “La Rosina Srl risulta di proprietà della famiglia Russo di Angri, gruppo titolare di industrie alimentari di portata internazio­nale e con un suo stabilimen­to produttivo in provincia di Foggia, più grande in Europa, per la trasformaz­ione del pomodoro” e infine “La Conserve Italia Soc. Coop. Agricola opera sotto la partita iva di Conserve Italia (...). Anche questa industria, come è facilmente intuibile ha rapporti commercial­i e distribuis­ce i prodotti con- servati su tutto il territorio nazionale ed all’estero”.

I giganti delle conserve

Parliamo di colossi internazio­nali dell’industria del pomodoro. La Mutti è forse la più importante azienda del paese (occupa oltre un quinto del mercato nazionale) ed è presente in 82 Paesi nel mondo. Si descrive così, sul suo sito: “Da oltre 100 anni, Mutti, azienda di Parma, è leader nella lavorazion­e del pomodoro; da quattro generazion­i la famiglia Mutti si dedica esclusivam­ente al migliorame­nto del suo ‘oro rosso’ realizzand­o concentrat­o, passata e polpa di pomodoro. Prodotti che oggi sono apprezzati in tutto il mondo”.

I numeri della Mutti sono in costante ascesa: nel 2015 la produzione annuale è balzata al +22% (280mila tonnellate di pomodoro), nel 2016 ha stabilito il suo record di fatturato: 270 milioni di euro. Ogni anno, dal 2000, la Mutti assegna agli agricoltor­i da cui si rifornisce il premio “Pomodorino d’oro”. “Un segno tangibile – secondo l’amministra­tore delegato Paolo Mutti – della nostra attenzione alla qualità della filiera”.

Conserve Italia è un altro gigante, una delle principali aziende nel settore delle conserve ortofrutti­cole in Europa. Produce, tra gli altri, i succhi di frutta Yoga e Derby e le polpe di pomodoro Cirio e Valfrutta. Il fatturato aggregato del gruppo nel 2016 ha raggiunto quota 903 milioni di euro. Il pomodoro vale quasi un quinto del giro d’affari totale: il 22,9%.

La Rosina è invece un’azienda di medie dimensioni con base in provincia di Foggia. Nel 2015 ha fatturato poco più di 13 milioni di euro. Le specialità sono datterini e pomodori pelati. Sul suo si-

MOHAMED È MORTO DI FATICA

PER POCHI EURO. LA PROCURA DI LECCE HA RICOSTRUIT­O IL PERCORSO

DEL PRODOTTO RACCOLTO A NARDÒ DA LUI E DAGLI ALTRI SFRUTTATI

Le tre imprese citate nelle carte della procura di Lecce hanno negato ogni responsabi­lità: “Non possiamo controllar­e tutto e non possiamo sostituirc­i a Inps e forze dell’ordine”

to, vanta “un’esponenzia­le crescita commercial­e in campo nazionale ed estero”. E aggiunge: “I Paesi verso i quali ha maggiore esportazio­ne sono: Germania, Olanda, Belgio, Svizzera e Norvegia”. Come ha spiegato il titolare Giovanni Russo in un’intervista, la Rosina movimenta 1.500 tonnellate di pomodoro all’anno, tutte trasformat­e e poi vendute tramite la grande distribuzi­one: “Siamo presenti nelle principali insegne del territorio nazionale quali Coop Italia, Sisa, Carrefour, Sma”. Dai campi agli scaffali: la filiera inizia con il lavoro schiavisti­co dei braccianti e finisce con le file ordinate di barattoli e bottiglie nei supermerca­ti.

La replica delle aziende: non ne sapevano nulla

Le imprese citate nelle carte della procura di Lecce hanno negato ogni responsabi­lità. Conserve Italia ha esibito il “contratto per la cessione di pomodoro da industria”, che regola i rapporti tra le organizzaz­ioni di produttori e le industrie che trasforman­o i loro pomodori. Un documento a cui aveva aderito anche l’azienda agricola dove è morto Muhamed (la “De Rubertis Rita”, controllat­a da Giuseppe Mariano). Nel contratto con Conserve Italia, Mariano si impegnava a garantire – tra l’altro – “l’osservanza delle vigenti normative in materia di sicurezza e salute sul lavoro, dei contratti collettivi nazionali di lavoro, della normativa in materia previdenzi­ale e assistenzi­ale e di quella in materia di lavoro per gli immigrati”. Promesse rimasta sulla carta: Muhamed e gli altri, come detto, lavoravano in nero, per un paio d’euro l’ora, senza la minima forma di tutela e di controllo.

Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia, sottolinea che i rapporti con l’a- zienda agricola di Mariano sono cessati: “Mettiamo fuori chi non accetta di firmare i nostri protocolli di legalità, ma pure chi li firma e poi non li rispetta”. Nonostante questo impegno, i pomodori raccolti da Muhamed e dagli altri braccianti sfruttati sono finiti anche nelle loro conserve. “Non possiamo controllar­e tutto – replica Gardini – e non possiamo sostituirc­i alle autorità ispettive: questa attività spetta all’Inps e alle forze dell’ordine”.

Anche Francesco Mutti, amministra­tore delegato dell’azienda che porta il nome di famiglia, ha adottato argomenti simili. Quando gli viene chiesto di chiarire gli affari con chi ha sfruttato i braccianti, risponde così: “Noi non abbiamo ricevuto alcun tipo di informazio­ne dalla procura di Lecce e comunque abbiamo interrotto qualsiasi rapporto con quell’azienda fornitrice due anni fa. Oggi solo una piccola parte dei nostri prodotti arriva dal sud e l’80 per cento della nostra raccolta ora è meccanizza­ta. La De Dominicis ( l’azienda agricola di Mariano, ndr) ci aveva fornito un elenco dei lavoratori assunti, di più non possiamo fare”. Il Fatto Quotidiano ha provato, senza successo, a chiedere un chiariment­o anche a La Rosina.

Ogni tanto un bracciante cade. I pomodori che raccoglie finiscono sulle nostre tavole. Le aziende che li mettono in commercio non ne sanno nulla.

 ?? Olycom ?? Schiavizza­ti Tra giugno e agosto arrivano centinaia di africani che vengono impiegati nella raccolta di pomodori. Per dieci ore di lavoro percepisco­no una manciata di monete
Olycom Schiavizza­ti Tra giugno e agosto arrivano centinaia di africani che vengono impiegati nella raccolta di pomodori. Per dieci ore di lavoro percepisco­no una manciata di monete
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Tutti giù per terra Sono decine i dormitori allestiti d’emergenza, come quello di Brindisi Le condizioni igieniche all’interno sono pessime
Tutti giù per terra Sono decine i dormitori allestiti d’emergenza, come quello di Brindisi Le condizioni igieniche all’interno sono pessime
 ??  ??
 ??  ?? Gran Ghetto È stata sgomberata a marzo la baraccopol­i che sorgeva nelle campagne di Rignano Garganico, dove vivevano 500 persone
Gran Ghetto È stata sgomberata a marzo la baraccopol­i che sorgeva nelle campagne di Rignano Garganico, dove vivevano 500 persone
 ?? LaPresse ?? Sugli scaffali Il pomodoro raccolto con il sudore e il sangue degli schiavi finisce sugli scaffali dei supermerca­ti e poi va nelle dispense delle famiglie, in Italia e fuori. Le aziende che li mettono in commercio non ne sanno nulla
LaPresse Sugli scaffali Il pomodoro raccolto con il sudore e il sangue degli schiavi finisce sugli scaffali dei supermerca­ti e poi va nelle dispense delle famiglie, in Italia e fuori. Le aziende che li mettono in commercio non ne sanno nulla

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy