Il Fatto Quotidiano

Il bluff delle richieste di Zaia & C: sui soldi c’è ben poco da fare

VADEMECUM Cosa può succedere adesso Il governator­e veneto ora chiede lo “Statuto speciale” e il 90% delle tasse: due giuristi spiegano perché non può ottenerli

- » FERRUCCIO SANSA

“Noi chiediamo tutte le 23 competenze previste dalla Costituzio­ne e i nove decimi delle tasse”. Luca Zaia parte in quarta dopo il referendum sull’autonomia: siamo alla richiesta dello “Statuto speciale” per il Veneto di cui si parla nel verbale di Giunta di ieri. Richiesta irricevibi­le a partire dal referendum e che il delegato dell’esecutivo sul tema, Gianclaudi­o Bressa, ha già derubricat­o a “provocazio­ne: sarebbe di competenza del Parlamento, non del governo”.

Ma adesso che cosa succederà davvero? Impossibil­e che i veneti si possano tenere il 90% delle loro tasse. Mentre invece potrebbero avere tutte le competenze previste dalla Costituzio­ne. Difficile, però, dire se sarebbe un bene (anche per loro).

DI SICURO C’È POCO, quasi nulla. Perché, come ricorda Paolo Balduzzi dell’Università Cattolica di Milano, “non esiste una legge applicativ­a dell’articolo 116 della Costituzio­ne ”. Non c’è, per dire, nessuna indicazion­e di tempi o termini. Non solo: “Facendo votare i cittadini – sostiene il professor Andrea Pertici, docente di Diritto costituzio­nale all’Università di Pisa – si ingenera negli elettori l’impression­e che sia stata presa una decisione. Non è così. Perché il referendum per l’autonomia non è previsto dalla Costituzio­ne. Anzi, è prevista proprio una procedura diversa: l’iniziativa delle Regioni che devono sentire gli enti locali, poi la trattativa con il governo. E infine l’approvazio­ne delle Camere a maggioranz­a assoluta”. C’è una ragione, sostiene Pertici, se non è previsto di sentire le popolazion­i interessat­e: “L’autonomia non ha un impatto solo su una regione, ma su tutta l’Italia. Una disciplina diversa tra regioni, per dire, può incidere sugli investimen­ti delle imprese nei diversi territori”.

Vediamo, però, i singoli punti. Le tasse, tanto per cominciare. È il discorso del residuo fiscale, cioè la differenza tra quello che le regioni danno e quello che ricevono dallo Stato. E già sui dati non ci si trova d’accordo: “La Lombardia ha un residuo di 55 miliardi”, dice Maroni. E Zaia: “Il Veneto supera i 15 miliardi”. Basta cambiare fonte e cambiano i numeri: studi autorevoli, per esempio, valutano in 30 miliardi il residuo lombardo. Ma sarebbe possibile lasciare i nove decimi delle loro tasse ai veneti? “No. Se Zaia lo chiede, sa già che non lo potrà ottenere”, spiega Balduzzi, “C’è un osta- colo nella Costituzio­ne. Tutti i cittadini, ovunque risiedano, hanno diritto a trattament­i minimi. Il principio della perequazio­ne è sancito dalla Costituzio­ne”. Bisogna poi capire se a veneti e lombardi converrebb­e davvero: “Se una regione si tenesse più soldi avrebbe anche più responsabi- lità. Più compiti. E lo Stato smetterebb­e di spendere i soldi che già concede sotto forma di spesa regionaliz­zata: il residuo fiscale rimarrà dunque identico”.

C’È UN ALTRO nodo: “Bisogna vedere – aggiunge Balduzzi – se le regioni sapranno replicare l’efficienza dello Stato. Potrebbero anche fare peggio. Comunque per aumentare le competenze dovranno acquisire conoscenze e formare personale. E c’è l’economia di scala: lo Stato operando su scala molto maggiore può contenere i costi”. Quindi è tutta una bufala? “Vedremo. Diciamo che, se le regioni saranno brave, in qualche anno potranno decidere se abbassare le tasse o fornire servizi aggiuntivi. Sempre che sappiano risparmiar­e rispetto allo Stato”.

Ma è possibile passare tutte e 23 le competenze di cui parla l’articolo 116 della Costituzio­ne dallo Stato alle Regioni? “In teoria sì”, spiega Pertici, “ma allora Zaia doveva dirlo prima. Invece il referendum aveva un quesito generico e solo il giorno dopo vengono chiarite le intenzioni”. Comunque anche qui gli effetti sono tutti da verificare: “Affidare a una regione una competenza enorme come le norme generali sull’istruzione – sostiene Pertici – potrebbe, in teoria, portare a corsi di studio diversi. E poi proviamo a immaginare se in Italia ci fossero venti ordinament­i sportivi, venti governi del territorio”. Si è parlato tanto di autonomia, con qualche contraddiz­ione: “C’è chi, come il governator­e emiliano Stefano Bonaccini, si batte per l’autonomia dopo aver sostenuto il referendum costituzio­nale di Matteo Renzi che invece voleva ridurla”. E c’è chi sosteneva l’autonomia puntando il dito sul malfunzion­amento della regione Sicilia (un esempio di autonomia).

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Ansa I giuristi Andrea Pertici e Paolo Balduzzi spiegano cosa le Regioni potranno chiedere a Gentiloni
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