Il paradosso elettorale di Salvini: più forte fino al voto, più debole dopo
La Lega ha il premier perfetto. In Veneto
Irisultati dei due referendum in Lombardia e Veneto sono molte cose insieme. Sono, ovviamente, una consultazione in cui gli elettori di due regioni –e i veneti con particolare forza – hanno chiesto ai loro rappresentanti di ottenere più autonomia nella gestione del territorio (i soldi delle tasse, invece, c’entrano poco: un equivoco che Roberto Maroni e Luca Zaia rischiano di pagare caro quando, tra anni, si disvelerà appieno).
Questo voto, però, ha avuto significati ulteriori rispetto al suo proprio: è stato anche una battaglia interna alla Lega, in particolare tra la linea di Roberto Maroni, nel solco della tradizione nordista della Lega di Umberto Bossi (anche se sono 16 anni che questi maggiori poteri potevano essere chiesti e il Carroccio non se n’è curato granché), e quella “nazionale” di Matteo Salvini. Il paradosso è che il non eccellente risultato lombardo (in particolare a Milano) e la figuraccia rimediata col voto elettronico penalizza proprio Maroni. D’altra parte il leader di un partito che nelle due regioni più ricche d’Italia porta a votare quasi sei milioni di persone e impone al Paese (e alla sua coalizione) un’agenda di governo non può che uscirne rafforzato: Matteo Salvini avrà agio maggiore – non bastassero i voti usciti dalle ultime Am min is tra tive, che sanciscono lo stato pre-comatoso di Forza Italia – nel trattare le candidature con gli alleati/ avversari Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Salvini potrà pure, come sembra assai desideroso di fare, candidarsi a premier per la Lega, la quale con ogni probabilità sarà la lista più votata del centrodestra.
Il suo problema inizia semmai la mattina dopo le elezioni: ammesso e non concesso che Berlusconi abbia interesse a fare un governo col centrodestra e ammesso e non concesso che a quel punto la premiershipspetti alla Lega, i referendum di ieri consegnano al Paese un candidato di compromesso naturale: Luca Zaia. Ha dimostrato di saper mobilitare il suo Veneto, è già stato ministro con Berlusconi, è capace – come direbbe l’ex Cavaliere – di farsi concavo e convesso, non è mai stato un nordista di quelli troppo marcati. È il candidato perfetto del giorno dopo il voto. Un paradosso. L’ennesimo.