Il Fatto Quotidiano

La luccicanza 37 anni dopo: un maestro, nessun allievo

Torna nelle sale con un corto che fa parlare anche le gemelle

- » FEDERICO PONTIGGIA

SQuarant’anni dopo la pubblicazi­one del bestseller di Stephen King, “Shining” di Stanley Kubrick torna in sala il 31 ottobre, l’1 e il 2 novembre, preceduto da “Work and Play”, il nuovo cortometra­ggio sul film osteneva Kubrick, “è molto facile fare un film, ma molto difficile fare un buon film. E quasi un miracolo fare un grande film”. Stephen King non vi riconobbe nulla, o quasi, del proprio romanzo. Ognuno di noi vi trovò potente e non negoziabil­e il talento di Stanley Kubrick. Anzi, il talento Kubrick: inventore di mondi, ri-definitore di generi, innovatore di cinema. Dopo il noir ( Rapina a mano armata, 1956), dopo la fantascien­za ( 2001: Odissea nello spazio, 1968), dopo il film storico ( Barry Lindon, 1975, ma già il rinnegato Sp a r ta c us , 1960), Kubrick fece del fantastico qualcosa di mai visto e, ci perdoni King, mai scritto prima: Shining modellizza­va un’idea-mondo di cinema e, insieme, un’idea-cinema di mondo.

IL PLASTICO e il labirinto, la narrazione messa in abisso e la scoperta tecnica, quella Steadicam creata ex novo da Garrett Brown che s’avanza fluida e ineluttabi­le per i corridoi dell’Overlook Hotel. Sono passati 37 anni, ma non abbiamo dimenticat­o nulla, non potevamo: come tanti – tutti i suoi 13? – film di Kubrick, Shiningha fatto scuola, senza peraltro fare allievi. Nessuno – né Christophe­r Nolan, né Denis Villeneuve, né David Fincher, né chi vi pare – ha superato il maestro, nessuno gli si è anche solo avvicinato: a 18 anni dalla morte (7 marzo 1999), Kubrick rimane inarrivabi­le, sinonimo, di più, allografo stesso di Cinema. Caso strano, la tenzone Kubrick-King non s’è esaurita, e sta per trovare nuova vigoria in sala: se It frantuma anche da noi record su record con un incasso nel weekend d’esordio di 6 milioni e 700 mila euro, Shining ritorna sul grande schermo per soli tre giorni, dal 31 ottobre di Halloween al 2 novembre dei Morti.

Ebbene, chi vincerà? Aspettando la risposta del pubblico, ce n’è una da mandare agli annali di Storia del Cinema: Kubrick, su King e il regista di It Andy Muschietti, per ko tecnico alla prima ripresa. Non stupisce, e come potrebbe? Disse bene il grande critico francese Michel Ciment alla Rivista del Cinem a t og r a f o nel marzo del 2009: “Kubrick mi fa pensare a un rabbino che studia il Talmud, o a un alchimista del Medioevo che vuole trasfor- mare il piombo in oro. C’era in lui qualcosa che faceva pensare alla ricerca della pietra filosofale. Alla ricerca dell’assoluto”. Un assoluto luccicante che al buio in sala rinviene in combo con il corto Work and Play di Matt Wells: sette minuti di materiali inediti, provenient­i dagli archivi personali del regista newyorches­e e illustri talking heads. Ad aprire le danze sul filo della memoria sono le gemelline Grady, al secolo Lisa e Louise Burns, e qualcosa non è cambiato: simbiotich­e ma dialettich­e, si sovrappong­ono, si mangiano le parole a vicenda, si specchiano uguali e contrarie. E ricordano, sì, ricordano il proflu- vio di sangue e il loro essere fanciullin­e e quasi ignare, i vestitini buffi, la follia di Jack Nicholson e il freddo là fuori. Soprattutt­o, rammentano che sul set la paura si tagliava col coltello. Pardon, con l’accetta. Passano gli appunti di Kubrick, scorrono “redrum” e “murder”, sovvengono le indicazion­i, le rettifiche e gli accorgimen­ti sulla strada del capolavoro, ricompaion­o gli uomini e le donne che accompagna­rono il genio: Garrett Brown e la co-sceneggiat­rice Diane Johnson, la figlia Katharina e il cognato e produttore Jan Harlan.

SONO QUESTI ULTIMI a sfatarne il mito negativo, a ripulire Stanley dalle incrostazi­oni del sentito dire: non era né recluso né musone, dice Katharina, ma “parlava con il mondo al telefono”, “eravamo una famiglia di cinema, era il padre migliore”. Insomma, Jack Torrance non abitava in Kubrick, e questo titolo monco – Work and Playviene da “All work and no play make Jack a dull boy”, nella versione italiana l’inopinato “Il mattino ha l’oro in bocca” – gli rende giustizia: lavoro e gioco, cinema e famiglia. E, ovvio, l’assoluto cui tendere: “Non gli interessav­a – precisa Harlan – fare film tanto per fare, ne erano già stati fatti a iosa. Lui voleva realizzare qualcosa che restasse, quel 5% dei film che rimane”.

@fpontiggia­1

L’evento “Work and Play” Lavoro e gioco, cinema e famiglia, ma anche la paura che sul set si tagliava con l’accetta. Appunti, indicazion­i e rettifiche del capolavoro del genio

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Jack Torrance brandisce l’ascia contro la moglie Wendy
Tesoro Jack Torrance brandisce l’ascia contro la moglie Wendy

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