Diktat Almaviva alle mamme: Calabria o via
Le 43 madri dovranno scegliere: Cosenza o licenziamento. Stop ai trasferimenti da Milano
Le
opzioni sono due: trasferirsi a 500 chilometri da casa, allontanandosi dal proprio marito e con un figlio che ha meno di un anno, oppure perdere il lavoro. Nella giostra dei call center Almaviva, dove chi non viene licenziato viene spedito dall'altra parte dell'Italia, ci sono 43 neomamme. Si tratta delle addette della sede romana che, proprio grazie alla tutela della maternità, sono sfuggite al grande licenziamento di Natale 2016. Appena è cessata l'efficacia delle norme che le proteggevano, però, l'azienda ha deciso il loro trasferimento dalla Capitale a Rende (Cosenza).
ANDIAMO con ordine. La legge italiana vieta di licenziare le donne durante la gravidanza e fino al compimento del primo anno di età del bambino. Erano appunto in 43 le dipendenti Almaviva che si trovavano in questa condizione a dicembre, quando - dopo che i rappresentanti sindacali avevano rifiutato un accordo al ribasso - la società ha mandato a casa 1.666 lavoratori dalla sede romana. Per quelle donne, però, i guai sono stati solo posticipati. Alcune sono comunque rientrate nell'allontanamento collettivo, perché la loro tutela è scaduta nei 120 giorni successivi al 22 dicembre e questo le ha rese nuovamente “licenziabili”. Alle altre, pochi mesi dopo, è stato ordinato lo spostamento a Rende. Una scelta aziendale che è più facile leggere come un gentile invito alle dimissioni. Come è pensabile che si accetti di dividersi da marito e famiglia con un bimbo molto piccolo per 700 euro al mese? Le prime a ricevere la lettera di trasferimento sono state quelle che non stavano godendo del congedo parentale (diverse non lo hanno richiesto, perché durante quel periodo avrebbero guadagnato solo il 30% di un salario già basso). Chi di loro ha provato a opporsi, però, ha avuto torto in Tribunale ed è stata costretta a lasciare "volontariamente" l'azienda.
Quelle che oggi sono ancora in congedo stanno lottando per far cambiare idea ad Almaviva. Lucilla è una di loro: “Io sono protetta fino ad aprile 2018 – spiega – poi dovrò allontanarmi dalla mia famiglia se l'azienda non mi ricollocherà a Roma”. Proprio nella Capitale, nei prossimi mesi, il colosso del call center darà avvio alle attività della commessa vinta con il Gestore dei servizi elettrici (Gse) ma non sembrano esserci margini di trattativa: “Il trasferimento (delle neomamme, ndr) è fondato sull’esigenza di salvaguardare il lavoro – scrive l'azienda - attraverso una collocazione alternativa, dopo la chiusura del sito produttivo”. Nella nota Almaviva ha accusato la Cgil di fare “populismo s i n d a c al e ”. “I n a c c e tt a b i l e questo comportamento da parte di chi ottiene gran parte della committenza dal pubblico”, ha detto Michele Azzola segretario di Cgil Roma e Lazio. Secondo Fabrizio Solari, capo dei lavoratori delle telecomunicazioni per il sinda- cato “rosso”, “il governo non dovrebbe intervenire solo nei singoli casi locali, ma deve affrontare la questione Almaviva nel suo complesso”.
IERI POMERIGGIO il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda ha incontrato i vertici di Almaviva ed Eni per un altro caso, quello di Milano. In Lombardia l'azienda aveva disposto 64 trasferimenti – sempre verso Rende – dopo la perdita della commessa della società a controllo pubblico. Dopo la riunione di ieri, Eni si è impegnata a "conferire nuove attività al sito produttivo di Milano" e Almaviva ha promesso di ritirare i 64 spostamenti. Solo un piccolo sollievo in un'azienda con migliaia di dipendenti che, ormai da anni, vivono una perenne crisi. Con il problema delle neomamme romane che è ancora ben lontano dalla soluzione.