Il nuovo racconto scritto per il Fatto da Aldo Busi: “I ricordi degli altri”
Sono trascorsi esattamente vent’anni dall’ultima volta che ci ho tentato, ne erano trascorsi tredici dalla volta precedente – e ventitré dalla precedente, ovvero dalla penultima, alla prima, avrò avuto sì e no quattordici anni, e mi è rimasto lo spino nel cervello, non so se il rancore è per lo spino o perché non riesco a togliermelo, non lo saprò mai. Ci sarebbe voluto un po’ d’amore da entrambe le parti, accedere ai sentimenti di desiderio per te tramite i tuoi sentimenti di desiderio per l’altro, ma ciò non si è mai verificato, non sono mai stato desiderato da qualcuno che desideravo e non ho mai amato qualcuno che desiderava me. Al massimo riuscivano a desiderarmi nudo, anche solo in parte. E del resto, quando ho desiderato fare all’amore con qualcuno che desideravo - che desideravo conoscere, dal quale farmi conoscere, con il quale avrei voluto stringere un’amicizia durevole, sensuale se politica e in culo alla società, al familismo, alla religione, alla legge, alla finanza di rapina e perciò alla politica stessa - e che senza manifestare alcun desiderio di me acconsentiva però al sesso, forse per spirito di sopportazione o forse per segreta libidine alla “chi disprezza compra”, mi sono sempre astenuto dal solo sfiorarlo. Non tolleravo i suoi occhi chiusi apparentemente in attesa del sacrificio, in verità pregustando un piacere tutto suo a scanso del mio. Tieni gli occhi chiusi senza mai neppure una volta avere prima guardato dritto nei miei? Il suo corpo immobile senza desiderio per me che tanto lo desideravo mi dava i brividi di un cadavere disponibile a qualsiasi indiscriminata brama, accesa o spenta che fosse, e la mia non era né accesa né spenta, era niente senza la sua da vivo e da compartecipe consapevole desiderante come me, una brama folgorata e neutralizzata dalla sua impenetrabile indifferenza che si dispone a uno sforzo o, ripeto, a uno sfizio.
È così che ho sventato non pochi piani di sfruttamento e di frode o che li ho snidati al primo deludente assaggio, un tentativo più sentimentale che fisico, astenendomi dal dare il mio amore a quanti in cambio mi avrebbero dato il sesso a distanza di un cadavere manovrato dalla distanza ravvicinata di un doppio fine, vuoi semplice vuoi cervellotico, che nessuno poteva certo illudersi di occultare a me, che ho sempre creduto che non solo l’amore ma anche la passione sia l’elaborazione di un’attrazione razionale nel tempo, sia pure il tempo che dura, e che richiama in causa per la sua messa in opera non l’abbandono letargico alla dolcezza lunare dei propri sensi, unidirezionale e spesso di estatica ottusità dell’uno verso l’altro, ma la comune vigilanza sulla mutua civiltà dei sentimenti dati e presi o, meglio, dati per presi e presi per dati. Non ho mai avuto alcun debole per le relazioni perverse il cui mastice fosse il disprezzo, il mercanteggiare per un proprio tornaconto e tutti i giochini erotici di bassissima lega circoscritti tra sadismo e masochismo, gettare la pietra e nascondere la mano, lanciare falsi segnali di seduzione, inseguire chi ti rifiuta ma non del tutto e intanto gioca al rialzo sul suo cartellino del prezzo - girato dall’altra parte, per carità! -, la sua arroganza di mite per posa e taciturno per convenienza, la strategia dell’abbatterti per torreggiare sempre di più, la finta del suo menefreghismo per vedere fino a dove e per quanto può ricattarti, e io già odio il mio amore per un tipo del genere; tutto è baratto, e non potrebbe essere altrimenti, ma almeno l’amore no. Se avessi voluto accontentarmi, il mercato dell’amore offre mille scorciatoie per stare insieme pur restando da soli ognuno nel suo bozzolo di putrescente alienazione di sé e dell’altro.
I ricordi degli altri, già, entrare nei ricordi degli altri: tu ci sei o no? Fissarli un attimo prima che tutti facciano pfff come un palloncino sgonfiato e tu, se mai ci fossi stato, fuoriuscissi da quella vita cadente almeno come estremo fantasma.
A volte, ritornandomi in mente certi uomini che mi sembravano promettenti per spassarsela insieme senza umiliare e dimidiare la mente civile - la nostra intima umanità tanto più erotica quanto più sgombra di fronzoli emozionalghiandolari -, uomini che si sono rivelati una delusione ancor prima di saltare a volo radente nel cerchio di fuoco dell’amore tra pari senza secondi fini a parte quello di godersi per un po’ la vita non del tutto da soli, mi verrebbe voglia di incontrarli adesso, per interrogarli non più tra me e me, per sapere se poi hanno incontrato quel qualcuno degno del loro amore gratuito che non ero stato io, per rendermi conto se infine hanno mai vissuto almeno una volta un amore gratuito gratuitamente reciprocato con qualcun altro, se non rimpiangono un po’ l’occasione che mi hanno fatto perdere perdendola anche loro, perché adesso siamo tutti vecchi o già morti, anno più anno meno sono tutti miei coetanei quindi potrebbero avere qualche chance in più di essere ormai tutti stati, eh, e io non ero poi malaccio o addirittura molto più bello e più divertente di loro, che si sono limitati a fare due conti presentandosi quasi sempre con la fronte corrugata a causa di un bottino che non dava segni di cedere i cordoni, perché così li ricordo tutti io, timorosi di dare più di quel che avrebbero preso, io invece così spassionato prima ancora che appassionato, così caloroso ma discreto, in ascolto… in ascolto di parole che meno arrivavano più ero costretto a immaginarmi e quindi a censurare… e generoso senza fretta, senza pressioni, men che meno quella sessuale, già relegata… e rilegata… chissà a quale sostrato in quell’aspettativa di amichevole amore, io vorrei dirgli… ma so che non oserei, non avrei alcun diritto, sarebbe una specie di vendetta… “Non abbiamo vissuto niente” sottintendendo “noi due assieme”, sottintendendo “ti è valsa la pena di non vivere niente con me?”, “che ricordo hai della nostra non storia, se mai ne hai uno?”, “hai poi trovato qualche martire deficiente che ti amasse per tutto ciò che non gli davi, per i vizi del tuo cuore secco che solo la garanzia della sopraffazione sull’altro riusciva a intenerire un po’, a renderti contortamente amorevole fino a che non l’avresti scuoiato vivo e sputato nel cesso una volta spolpato e dissanguato a dovere?”, chissà se riuscirei a frenare la lingua, ma il discorso potrebbe essere mentale, lo potrei fare anche davanti a un manifesto funebre, quindi mi permetterei l’affondo: “Noi due assieme non abbiamo vissuto niente tutto per colpa tua, esclusivamente per colpa tua, ma io l’ho vissuto di più, è stato un niente senza rimpianti, interrogativi sì ma rimpianto per te nemmeno l’ombra, di sicuro il rimpianto per l’idea naufragata sugli scogli della realtà circostante e altrui, per l’occasione preziosa subito perduta e mai più ripresentatasi o ripresentatasi tale e quale sotto mentite altre spoglie da me consegnate quasi immediatamente al loro cenotafio di pertinenza, non ci giurerei sia stato lo stesso per te… e per te e per te e per te… tu un’incazzatura non passeggera per il buco nell’acqua… e meglio lì che nei miei… devi averla patita, sei troppo insipido anche per
imbastire un rimpianto, figuriamoci se riesci a intravedere in un amore mancato un treno perso, sono sicuro che anche adesso che sei in dialisi, col pacemaker, in attesa del trapianto di fegato tutto quello di mancato che ti attraversa la mente sono gli affari andati a monte e…”. ‘E comunque non ci sarebbe verso di saperlo nemmeno se tu fossi qui vivacchiante e arzillo davanti a me, e basterebbe solo una sfumatura di rincrescimento perché mi salti fuori tutto lo schifo e lo sdegno che ancora mi fai, tutto quell’amore trasformato in disprezzo per legittima difesa e di cui mi vergognavo così tanto da soffocarlo non meno di quanto l’aveva originato, e magari tu pensavi che il mio desiderio per te stava solo prendendo quota e che mi sarebbe sfuggito di mano per passare di dominio dei tuoi artigli di incapace di affetto se non dimostrandolo con lo slancio di una rapina a breve termine e…’.
Meglio lasciar perdere, non vorrei causargli un infarto, e nemmeno non causarglielo, a quel brutto vecchio rimbambito con cataratta e pappagorgia che pensava che gli omosessuali si accontentano di mettersi a servizio pur di permettergli di farti un servizio di tanto in tanto.
Quanto a farmi conoscere, la cosa che più mi dispiace di ognuno di loro è non avere fatto abbastanza strada insieme neppure per dirgli che nella mia vita sarebbe sempre venuto quale buon secondo, che per quanto gli volessi bene non avrebbe mai occupato il primo posto nei miei interessi, che la priorità assoluta, oltre a averla per me stesso - e la mia assoluta specialità in fatto di relazioni, la solitudine, era per il mio essere scrittore pubblico di per sé, non per l’accidentalità di essere un partner privato, che per lui - per un viaggio, una cena, una lettata con lui - non avrei mai rinunciato a chiudermi la porta alle spalle per mettermi a scrivere una sola frase, e che se mai fossimo stati lontani e avessimo dovuto scriverci, io non avrei mai scritto a lui, ma tramite lui, che la mia corrispondenza pubblica per eccellenza era quella privata, che avrei salvaguardato la sua da ogni sguardo indiscreto ma che lui della mia poteva anche farne centinaia di fotocopie e lanciarle dove gli pareva da un aeroplano, perché io scrivevo di getto al mondo, un istinto di libertà superiore a tutti e a tutto, mentre se dovevo scrivere a qualcuno limitandomi a scrivere a lui, e talvolta a lei, ci dovevo pensare così a lungo che mi veniva un tale mal di testa, non mi venivano che le frasi fatte e i luoghi comuni di quando si annienta ogni lineamento di identità del destinatario, invece della faccia individuale ne vedevo la massa intestinale della specie, era come relazionarsi con le secrezioni di una mucosa presumendole un alfabeto in comune, gettavo la spugna e rinunciavo anche ai “Cordiali saluti”.
Perché poi, per quanto innamorato, il trasloco - intellettuale: esclusa ogni convivenza - lo si doveva fare da me: non ero certo disposto a passare dalla mia casa di universale trasparenza alla bicocca di provinciale opacità di nessuno. Ah, cosa non si fa per amore! Intanto non si retrocede.
Si sono spaventati tutti, intendo quei pochi altri ai quali, dopo un paio di viottoli insieme per farsi il fiato di base, sono riuscito a dirlo, e sono scomparsi a passettini veloci e chiappe strette, gli idioti con la fissa delle cose loro della loro insulsa intimità, un volgare segreto di Pulcinella uguale per tutti, tutti che hanno gli stessi cadaveri di topi seriali negli armadi e temono di non sapere fare fronte ai ricatti di altri che negli armadi hanno cadaveri di gatti, e allora meglio perderli che trovarli — e chi sarebbe rimasto era perché troppo garrulo e stupido per capirci qualcosa, e sono scomparso io.
A questa età si avrebbe così bisogno di un ricordo di un po’ d’amore che arrivò a destinazione e ritornò a mani doppiamente piene, invece anch’io come i più ho tanto tribolato, tanto mangiato e tanto defecato per elaborare quale sentimento di appartenenza al genere umano? Un’accidia più politica che personale: se vivi in una fogna politica, se tutto è liquame di vittime sacrificali designate per fare da pastone ai roditori più forti ovvero geneticamente più feroci e sanguinari, non ti sono permessi che movimenti e emozioni da ratto, ai tuoi simili trasmetti la peste con cui ti infettano anche se pretendono di amarti. Come se l’amore in una fogna politica godesse di una zona di franca e sana urbanità in cui due anime belle possano appartarsi e contarsi fuori! Sempre fogna è, ci si apparta per infettare, annientare, pasteggiare, sopravvivere e impestare ancora un po’. Rodi senza roderti: non sei la persona che credi, sei il prodotto di quella fogna. Anche la tua supposta immacolatezza: va bene, eri e sei rimasto immacolato come eri, e adesso? E allora? O adesso come allora l’immacolato si accoppia in amorosi e commerciali sensi con una pantegana o altra specie in giro non c’è.
A parte la mia condotta irreprensibile di cittadino aguzzino di se stesso e del proprio marziale autocontrollo in fatto di senso civico - e sporadiche fughe per disperazione dal troppo amore versato verso la ricerca del mio pietoso assassino che mi togliesse dall’incomodo di lavorare tanto per ingollare e cagare fuori senza mai niente nel mezzo a ricordarmi che, se c’era dell’altro, era da abortire sul nascere -, per cosa mi sono tenuto in vita per ormai settant’anni? Per tenere viva una mente d’amore non infetto invano, tutto qua, e che nemmeno so, magra rifusione del danno subito, se possa mai un giorno servire come campione a qualche altro. Tuttavia, a difesa di cotanta mente d’amore non infetto invano, dirò che essa ha una virtù antimorfeica, ben sveglia e terra terra, non so se invidiabile o no: non darsi i ricordi che non ha, fare spallucce ai ricordi che non ho e che mi piacerebbe accampare, innanzitutto un ricordo d’amore provato e ricambiato.
Lo considero un merito non averne: avrei rischiato come i più di consolarmi con il ricordo di una carogna parata alla vivace e tetra festa de ll ’ autocompiacimento da autoipnosi sentimentalistica per non essere dammeno, la Festa della Pestilenza Nazionale per eccellenza. Mi basti sapere che ho lottato strenuamente più volte per avere tale ricordo come dicevo io, quando stavo per gettarne le fondamenta, e non le convenzioni da etichette con relativi cedimenti sessuali, perché tutto il non detto del naturale bisogno d’amore e solidarietà doveva confluire lì, dove si congiungono le cosce, con lui a occhi chiusi supino o in posizione fetale o prono sotto un albero splendente dei matti colori della clorofilla che se ne va nell’ultimo tepore ottobrino… su un divano, un argine di fiume, una spiaggia isolata… accanto a me esausto d’amore inespresso in un labirinto la cui uscita non era mia e la patta che gli si gonfiava: se aspettava la mia furtiva manina pellegrina al suo santuario, faceva in tempo a farsi saltare la lampo, le cervella e poi a ossidarsi tutto fino a ridursi a una ventata di polvere.
Non avrò quello di ricordo e non sarò tra i ricordi memorabili di chi ancora sto qui a ricordare, imperdonabile testimonianza di amore, spero anche per me, ma ho quelli che mi sono più preziosi: tutti gli altri, compresi quelli di migliaia di altri e quelli miei che alla mente non ritorneranno mai più.