VERDINI, IL SALVATORE DELLA POVERA PATRIA
Che gioia, che orgoglio repubblicano ci invade da qualche giorno, da quando abbiamo saputo che la crema delle leggi che saranno approvate in questa legislatura – non solo la più importante, quella elettorale, ma anche la legge sullo Ius soli e quella sul testamento biologico (il baluardo di civiltà di un Paese) – dipendono tutte da quel brav’uomo che è Denis Verdini!
PARLIAMOCI CHIARO: ai tempi in cui faceva il bravaccio di Don Silvio, uno della cui fedina penale si fa prima a dire che gli mancano omicidio, rapina a mano armata e abigeato, non ne pensavamo tanto bene, complici anni di giustizialismo e gogna mediatica (Verdini ha una condanna a 9 anni per bancarotta e truffa ai danni dello Stato e svariati rinvii a giudizio per corruzione, finanziamento illecito e truffa, che per i renziani, garantisti oltre il terzo grado di giudizio, sono bazzecole); ma da quando ha sposato le riforme del “governo più di sinistra degli ultimi 30 anni”, come l’ha chiamato l’impunito Renzi, e successivamente il governo Gentiloni, il più teleguidato degli ultimi 70, ci siamo dovuti ricredere.
La faccia da capo parrucchiere in un negozio del centro, le movenze da biscazziere di un girone dantesco e una reputazione da film di Martin Scorsese, Verdini era invece un tipo da battaglie di principio e da alti ideali, e del resto bastava vederlo giovedì, in una foto di Repubblica.it, festeggiare l’approvazione del Rosatellum insieme ai suoi compagni di Ala, Lucio Barani (quello con la fioriera craxiana nel taschino) e Vincenzo D’Anna (il simpatico villico che mima fellatio verso le senatrici), per capire che coloro che appaiono comparse dei Soprano’s introdottesi clandestinamente a Palazzo Madama sono in realtà quei bravi ragazzi che condurranno in porto la barca sfondata dello strano governo a staffetta a maggioranza Pd.
Ormai solo i ciechi non vedono come Verdini abbia smesso di essere una presenza imbarazzante per Renzi, che finora ha fatto finta di vivere tutto un conflitto interiore e una specie di scissione freudiana per il fatto di godere dei voti e dunque ospitare in maggioranza uno con una faccia così, ricordando ogni tre per due che è grazie a Verdini, ancora, se abbiamo la legge sulle unioni civili (il che da solo dovrebbe indurre tutti i gay e le lesbiche d’Italia a rinunciare per sempre a sposarsi).
Del resto l’amicizia è antica, e ha voglia babbo Renzi – indagato per aver oliato i rapporti tra la Consip, centrale acquisti del governo del figlio, e l’imprenditore Alfredo Romeo, concorrente di una società vicina a Verdini – a dire di non conoscerlo, quando era proprio lui Tiziano, con la sua aziendina di famiglia, a distribuire le copie del Giornale della Toscana di cui Denis era azionista e finanziatore (purtroppo, nella Repubblica giudiziaria in cui viviamo, è indagato per bancarotta fraudolenta perché la società editrice aveva debiti nei confronti del Credito Fiorentino, sempre di Verdini). È per questo che se a noi può suonare irridente e contronatura, la dichiarazione pornografica di Verdini di sentirsi “lo zio, se non proprio il padre” della nuova legge elettorale è in realtà, oltre che la pura verità, una specie di ballon d’essai, una sonda lanciata nella melma di questa temperie decadente per vedere fin dove si possono spingere, costoro, fin dove il signor Renzi e i renziani possono ancora girare indisturbati per strada e pontificare sui treni e in tutte le Tv d’Italia senza essere presi a schiaffoni.
Insomma adesso quei galantuomini dei verdiniani, che non rappresentano nessuno e che persino Tarantino rifiuterebbe come figuranti dei suoi film perché sembrano le caricature di italiani poco raccomandabili, entrano con tutti gli onori in maggioranza, dopo che ne sono uscite le persone perbene (Civati, Bersani, Speranza, Gotor etc.), mentre ne esce Grasso e mentre i renziani Boschi, Delrio e Lotti mandano il certificato medico al Consiglio dei ministri che deve riconfermare Visco in Bankitalia, non sia mai il Capo se ne abbia a male.
CHISSÀ CHE avvertimento era, quello che Denis lanciò a giugno a Matteo (“È stato Renzi a dirmi di non entrare nel governo Gentiloni. Lui voleva un governo fragile”) e che effetti ha prodotto, se oggi, invece, si sente legittimato a mettere la zampa sul governo (“Qualcuno parla di una nuova maggioranza. Non è vero. Noi c’eravamo, ci siamo e ci resteremo sino alla fine”), e del resto pure lui, pover’uomo, non sa più come farcelo capire, che tra lui e il bambino prodigio Matteo esiste perfetta e conforme unità d’intenti: un governo in cui tutti fanno il gioco dei babbi o degli intrallazzini di provincia toscana che emanano l’ormai famigerato odore. Se forse è troppo sperare in B. presidente della Repubblica, ci raccomandiamo almeno di fare il figlioletto di Denis, Tommaso, ovviamente renziano, ministro della Giustizia.