Giustizia giusta: vademecum in dieci lezioni
“Una verità comunicata male suona falsa, meno convincente di una bugia ben congegnata”
S(da “10 lezioni sulla giustizia” di Francesco Caringella – Mondadori, 2017 - pag. 33)
ono dieci le “lezioni sulla giustizia” che propone nel suo nuovo saggio Francesco Caringella, magistrato e scrittore di thriller, già co-autore della Corruzione spuzza con Raffaele Cantone. Ma non si tratta di un manuale a uso e consumo dei suoi colleghi, giudici e pubblici ministeri. Bensì di un vademecum per “cittadini curiosi e perplessi”, come recita il sottotitolo in copertina: curiosi di capire che cos’è la Giustizia, perplessi di fronte alle sue disfunzioni, ai suoi ritardi e ai suoi errori.
Da giudice penale di prima nomina – come ricorda lui stesso nel libro – Caringella firmò negli anni Novanta, in piena inchiesta Mani Pulite, il primo mandato di cattura nei confronti dell’ex presidente del Consiglio Bettino Craxi. Quando seppe che il leader socialista era morto ad Hammamet, ormai da “latitante” e non da “esule”, il giovane magistrato provò una forte emozione e si chiese “se la mano della giustizia non fosse stata troppo dura contro un uomo che fa parte della nostra storia”. Ma il suo non era pentimento né rimorso. Piuttosto era “una riflessione, se vogliamo impaurita, sul potere dei giudici di incidere sulle esistenze degli individui e di modificare il corso della storia”.
PARTONO DA QUI, dunque, le “10 lezioni sulla giustizia” che l’autore rivolge a quel “popolo italiano” in nome del quale i cittadini vengono giudicati nelle aule di tribunale, condannati o assolti. “Il processo è una pena”, avvertiva già Salvatore Satta, uno dei più grandi giuristi italiani. Caringella fa proprio questo ammonimento per aggiungere che il processo “spesso è la sola vera pena”, anche indipendentemente dalla sentenza definitiva. E osserva: “Una sentenza non deve stabilire solo se è stato commesso un reato, ma anche perché è stato commesso”.
Ha ragione perciò chi contesta il clichè della “gogna mediatica”, perché nel Medioevo la gogna seguiva un processo, mentre oggi spesso lo procede e l’anticipa. Non sono rari i casi in cui il giudizio si precostituisce anche prima del dibattimento, già al livello delle indagini o delle udienze preliminari. Valga per tutti il caso emblematico di Enzo Tortora, il conduttore televisivo accusato ingiustamente di associazione camorristica e traffico di droga, condannato a dieci anni di carcere e infine assolto, prima di morire appena un anno dopo.
Merita di essere considerata con interesse e attenzione, allora, la proposta di revisione costituzionale su cui l’Unione delle Camere penali ha raccolto più di 70 mila firme per separare la carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, istituendo due diversi Consigli superiori della magistratura a garanzia delle rispettive autonomia e indipendenza. E soprattutto, a garanzia di tutti i cittadini, imputati e non imputati, che hanno diritto a una “giustizia giusta”. Nel moderno processo accusatorio, occorre assicurare fondamentalmente la parità delle parti e la terzietà del giudice, sancite entrambe dal Codice di procedura penale.
Ne beneficerebbe la stessa magistratura in termini di autorevolezza e di credibilità. “La fiducia della gente nella giustizia e nei giudici – scrive ancora Caringella – è oggi ai minimi storici anche perché si tratta di un mondo misterioso in cui si parla un linguaggio inaccessibile”. Valgono, come per i politici, gli imperativi della chiarezza e della trasparenza. E quando il potere legislativo è oscuro e opaco, anche quello giudiziario rischia l’omologazione o la supplenza.