La sceneggiata napoletana della pace Renzi-Gentiloni
“Matteo ti ringrazio per la tua passione per le stazioni”. Comincia così il discorso al Museo Ferroviario di Pietrarsa, il premier Paolo Gentiloni. La battuta vuole essere segno di leggerezza, di amicizia, ma sembra una sorta di pacca sulla spalla nei confronti del segretario del Pd, Matteo Renzi, in prima fila. Mentre il premier sale sul palco, gli cadono i fogli sui quali ha gli appunti. È un passaggio importante nella storia del rapporto tra i due. La platea lo applaude, in piedi. Accoglienza calorosa dopo due giorni di interventi ascoltati distrattamente.
LA “SCENEGGIATURA” orchestrata da Renzi prevedeva che quella di ieri fosse la giornata della pace, dopo il cannoneggiamento di Ignazio Visco, la fiducia imposta sul Rosatellum, gli attacchi sulle pensioni. In realtà se c’è una pace, ieri è stato messo agli atti che è condizionata: il premier mette tutti i suoi paletti. Sulla “fine ordinata della legislatura”, sul rapporto con l’Europa, sulla responsabilità di un partito di governo.
Arriva a Pietrarsa dopo le 18.30 Gentiloni. Visita guidata sul treno, “Destinazione Italia”, fermo sui binari e usato in questi giorni come ufficio personale di Renzi, nonché palcoscenico per dirette social. E poi, c’è la photo opportunity. Ma l’atmosfera è abbastanza rigida. Renzi è accompagnato da Maurizio Martina, Matteo Orfini, Francesco Bonifazi, Ettore Rosato e Teresa Bellanova. Prova la battuta: “Ci sarebbe una breve introduzione di 42 minuti di Matteo Orfini su Banca d’Italia che diamo per letta”. Ma Gentiloni, fermo: “Mi dissocio”. Il segretario rimarca: “Questa è casa tua anche se abbiamo avuto visioni diverse”. Il premier ci tiene a inserire un concetto: “Qui discutiamo su chi siamo. I valori della sinistra e del cambiamento devono essere una sfida di governo”. Parole che risuonano con quelle dette da Marco Minniti sul palco: “Se si ritira o si mette di lato rispetto alla sfida di governo, la sinistra perde se stessa”. Non poco di fronte a un segretario del Pd più di lotta che di governo. La mimica parla: Gentiloni è molto composto, Renzi ha lo sguardo fisso e un sor- riso stampato in faccia. “So che stai partendo per l’India”, dice, quasi sbrigativo. E l’altro: “Sì, Matteo, è un viaggio molto importante, era da tanto che non ci andavamo”. Ci tiene a chiarire che il governo è una cosa seria.
Comunque, l’abbraccio è consumato. Ma non gratis. Dal palco, Gentiloni mette in fila tutti i suoi paletti. “Spalle larghe, poche chiacchiere, discussione aperta, gioco di squadra e soprattutto unità”. Il rimprovero è criptico.
L’ultima mossa, quella dei ministri renziani che non sono andati nel Cdm che confermava Visco, non è priva di strascichi. Maria Elena Boschi a Pietrarsa non si vede. Motivazione ufficiale: ha la febbre alta. Pure Graziano Delrio avrebbe la febbre, ma c’è comunque. Non interviene dal palco e ci tiene a far passare il messaggio che non c’è stato un caso Cdm. Pare a disagio. Minniti fa da mattatore, rilanciando lo ius soli. Lui al Cdm c’era. In questa atmosfera, il pre- mier detta la sua linea. Richiamo alla chiarezza: “I cittadini vogliono sapere che messaggio portiamo”. E poi, batte sull’“importanza di una conclusione ordinata della legislatura”. Perché “vorrei che fosse chiaro che non è un’esigenza del governo, è un dover e”. Ammonimento: “So no certo che il Pd non consentirà di dissipare i risultati che abbiamo raggiunto”. Sulla cittadinanza si schiera con Minniti. Sono mesi che Renzi evita l’argomento. Chissà se oggi, nel suo intervento di chiusura, dirà qualcosa di chiaro.
NON È CASUALE nemmeno il richiamo a Mattarella: “Confido che continueremo ad avere la guida del presidente”. Gentiloni ha un mandato. Anche sull’Europa, il suo pare un rimprovero preventivo: “Faremo una campagna per l’Europa. Quella contro l’Europa. la facciamo fare a qualcun altro”. Alla fine, le condizioni: “Dobbiamo darci con la tua leadership, caro Matteo, l’as- setto più forte e più competitivo per vincere e per governare. L’assetto il più largo possibile, aperto verso il centro e la sinistra”. Visto che “De Coubertin non è nel Pantheon del Pd”. Ovvero l’importante è vincere, non partecipare (come sosteneva, invece, il fondatore dei moderni Giochi olimpici). Nel giorno in cui qualche dirigente renziano osserva che “l’opposizione sarebbe un’opportunità”, sembra un invito a non giocare col fuoco. Alla fine, i due fanno filtrare contentezza e coesione. La sceneggiatura è questa, il film è un altro, il finale aperto. Oggi, intanto, tocca a Renzi.
Abbraccio forzato Il segretario del Pd prova a mostrare che non c’è nessuno strappo, ma resta la freddezza del premier: “Ora serve gioco di squadra” Velati rimproveri
Il capo del governo insiste sull’importanza di “una fine ordinata della legislatura”