Camere, addio! Un esercito di morituri saluta i Palazzi
Per molti sarà un trauma, la porta del Palazzo che si chiude per sempre. Per dire: Francesco Colucci, classe ‘32, sta per portare a termine la sua nona legislatura in Parlamento. Ha trascorso su una poltrona di Camera o Senato la meraviglia di 38 anni e 112 giorni della sua vita. Entrò in Parlamento nel 1972 da socialista, uscirà nel 2017 da alfaniano.
LA LEGISLATURAè al rettilineo finale, col Rosatellum è dura: o sei forte in qualche collegio (e diventi indispensabile), oppure devi pregare il tuo capo. I morituriche contano gli ultimi passi tra i corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama sono tanti, alcuni illustri.
Rosy Bindiè stata tra le prime ad annunciare l’addio: “Finita questa legislatura lascerò il campo – ha detto ad aprile in un’intervista al Fatto –. Vorrei dedicarmi agli studi, tornare al mio vecchio amore per la teologia”.
Se Bindi guarda verso il cielo, altri futuri ex parlamentari hanno obiettivi meno spirituali. Per il pirotecnico senatore verdiniano Vi nc en zo D’Anna – pure lui rassegnato all’estrema rinuncia – l’obiettivo è diventare presidente dell’ordine dei biologi: aspira “al rilancio della categoria e al ripristino di una necessaria stagione di legalità, legittimità e trasparenza amministrativa”. Il problema è che le sue esuberanze a Palazzo Madama, in questi anni, non hanno aiutato il profilo della sua candidatura. Come quando fu sospeso per 5 giorni dalla sua carica per volgarità e gesti sessisti nei confronti della collega grillina Barbara Lezzi. Oppure quando ha avanzato la sua originale proposta per diminuire gli stupri, invitando le donne “a essere più caute, perché il loro corpo potrebbe essere preda dell’istinto primordiale e ancestrale del maschio”. Ora la sua ascesa alla guida della categoria è ostacolata proprio dalle biologhe, che non solo non vogliono un presidente sessista, ma propongono pure la sua radiazione dall’ordine.
All’ultimo passo in Parlamento c’è pure Ugo Sposetti, senatore del Pd, ex tesoriere dei Ds e mefistofelico manovratore del ricchissimo patrimonio degli ex comunisti, che ha fatto trasmettere in una miriade di fondazioni. Con il capo del partito, per usare un eufemismo, i rapporti non sono cordiali. Non sarà ricandidato. “Sono io che non mi ricandido”, puntualizza lui. Non lascerà il Pd: “Resto qui a lottare, io, dove crede che vada? Fin- ché c’è Renzi c’è una battaglia da combattere”.
Di senatori antirenziani, naturalmente, ne salteranno parecchi. Parlamentari di lungo corso come Vannino Chiti e Walter Tocci; ex giornalisti prestati alla politica come Massimo Mucchetti e Rosaria Capacchione. Nemmeno Luigi Manconi sarà ricandi- dato. O comunque, non nel Partito democratico.
IN QUESTI GIORNI Camera e Senato sono attraversate da una litania di lamentazioni e promesse: “Non mi candido, stavolta no”. Tra i tanti che lo sussurrano, nelle chiacchiere tra colleghi, ci sono anche due vecchi leoni della poltrona, so- pravvissuti a molteplici legislature e governi: Pierferdinando Casini e M as si mo Sacconi. Ma non ci crede praticamente nessuno. Poi c’è Riccardo Villari. Pure lui ne ha viste parecchie (16 anni e 152 giorni in Parlamento). Del Villari si ricorda soprattutto l’acrobatico cambio di casacca da presidente della commissione di vigilanza Rai, nel 2008: eletto con l’Idv di Di Pietro, fu nominato con i voti di Berlusconi e si consegnò stabilmente a Forza Italia. In questa legislatura ha lasciato anche gli azzurri, è finito nel gruppetto Grandi Autonomie e Libertà. “Al momento sono orientato per il no, non mi ricandido. Mancano gli stimoli, devo essere sincero. Magari cambio idea, c’è tempo. Dicono tutti che sono all’ultimo giro: non gli creda”.
A destra, la Lega si prepara a dominare i collegi del nord e moltiplicare la pattuglia parlamentare, Forza Italia invece dovrà fare bene i conti. I destini di peones e colonnelli sono sempre nelle mani di Berlusconi. Ci sarà ancora spazio per Antonio Razzi? “Spero proprio di sì!” esclama lui, fiducioso. “Non ne ho parlato con il Presidente, ma lui ha detto che ricandidava tutti i fedeli”. In bocca al lupo.
Nel Pd la situazione è più seria. Lo statuto stabilisce un principio chiaro: “Non è ricandidabile da parte del Partio Democratico per la carica di componente del Parlamento nazionale ed europeo chi ha ricoperto detta carica per la durata di tre mandati”. La norma è stata interpretata così: non più di 15 anni in Parlamento. Eventuali deroghe, su richiesta, sono vagliate dalla direzione del partito (in sostanza, le decide Renzi). Saranno parecchi a dover chiedere un favore al segretario: Anna Finocchiaroha superato i 30 anni da parlamentare; Dario Franceschini, Marco Minniti e Roberto Giachetti sono oltre i 16. Nella “tagliola” ci sono, tra gli altri, anche Beppe Fioroni, Ermete Realacci, Andrea Martella, Marina Sereni, Barbara Pollastrini, Giorgio Tonini”,
Problema statuto Nel Pd il limite è di 15 anni, molti big dovranno chiedere la deroga Non voglio candidarmi per ora, mi mancano gli stimoli... però c’è ancora tempo, magari cambio idea
RICCARDO VILLARI Silvio mi rimette in lista? Sperò di sì, ha sempre detto che avrebbe ricandidato tutti i fedeli
ANTONIO RAZZI