Associazione a delinquere e naufragio: scafista condannato a 25 anni di carcere
Il
sostituto procuratore Sara Amerio aveva chiesto 24 anni di carcere. Ma la Corte d’Assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, è stata più severa e ne ha inflitti 25 a Omar Torki, lo scafista siriano arrestato nel maggio 2016 quando in riva allo Stretto arrivarono 45 corpi senza vita di migranti affogati nel Mediterraneo.
POCHE SETTIMANE FA, anche l’altro scafista di origini marocchine, Abdelfath Azridah, è stato condannato con il rito abbreviato a 14 anni di reclusione. A entrambi, per la prima volta, oltre al traffico di esseri umani, all’associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina e alla morte come conseguenza di altro delitto, è stato contestato il reato di naufragio doloso. I due scafisti, infatti, guidavano un barcone affondato a
40 miglia dalle coste libiche. Nell’incidente si salvarono 135 migranti poi arrivati in Italia a bordo della nave Vega della Marina Militare. I soccorsi recuperarono 45 corpi ma, stando ai racconti dei superstiti, i morti sarebbero stati molti di più: oltre un centinaio. Cinque di loro sono stati scaraventati in mare da Omar Torki prima del naufragio. Sul suo vecchio barcone era lui che decideva chi doveva vivere e chi morire. Le parole di Daniel, un ra- gazzo eritreo di 26 anni, lasciano poco spazio all’immaginazione. Ai poliziotti il giovane ha raccontato di aver “visto lo scafista, quello grosso, gettare in acqua tre donne eritree e due uomini somali”. Con Daniel c’era anche Faysal, un ragazzo etiope che ha pagato 5mila dollari per il viaggio: “Siamo stati in mare circa sei ore. Eravamo 400 o 500 tra uomini, donne e bambini. Abbiamo iniziato a imbarcare acqua a causa di una falla nella parte inferiore. Dopo 30 minuti la barca è affondata. Cento di noi non sono riusciti a salire e sono affondati con la nave. Molte donne sono morte perché non sapevano nuotare. C’erano alcuni bambini, ne ho visti annegare due. Avevamo pagato per avere i salvagenti, ma non c’erano”.
TUTTI VERBALI che la Corte d’Assise ha acquisito nel fascicolo del processo nel corso del quale sono stati interrogati anche il medico legale, Mario Materazzo, e il commissario capo Giuseppe Izzo della squadra mobile che ha ricostruito la dinamica dell’incidente grazie alle testimonianze dei migranti. Come quella di Hussin, 64 anni dalla Somalia: “Eravamo tutti agitati e chiedevamo aiuto. Lo scafista non ci rispondeva ma ha gettato cinque di noi in acqua”.