“Nel nome di Francesco e Rodolfo il Banco è ancora qui. E canta”
IL COLLOQUIO “Dopo la morte di Di Giacomo e Maltese, un misto di rabbia e amore mi convinse che dovevo proseguire”
La prima volta che si videro fu a l l’alba degli anni Settanta. Vittorio cercava un cantante per il suo gruppo, “perché ero un baritono, e volevo un tenore”. Gli venne in aiuto il chitarrista Marcello Todaro, che militava nei Fiori di Campo, prima di fare il salto nella nuova avventura. “‘ C on o sc o quello giusto’, mi disse Marcello. Ma lo avvisai: deve essere un frontman bello come Billy Bis”, che era un eroe dei fumetti somigliante a Mal dei Primitives. “Quel giorno l’aspirante vocalist si presentò a Marino, nella cantina della mia casa, dove tra le botti suonavo il piano”, racconta Vittorio Nocenzi. “E dalla porta per prima entrò la sua pancia, poi una barba inzaccherata di molliche e di formaggio. A tracolla portava un tascapane militare. Non sembrava per niente Billy Bis”.
ANCHEFrancesco Di Giacomo aveva da ridire. “Mi fulminò: ‘con quella giacca da camera, il foulard e le pantofole sei proprio un borghese’”. Ma tra i due fu amore artistico a prima vista: i Festival pop di Caracalla e di Villa Pamphilj, e il Banco del Mutuo Soccorso prendeva una forma stabile. Talmente solida che per più di quarant’anni non la potevi abbattere neanche a cannonate. L’ultima volta che Vittorio e Francesco si videro fu di nuovo in un’occasione casalinga. “E fu uno dei giorni più belli del nostro sodalizio. Volevo scrivere qualcosa sul tema del- la libertà, così esortai Di Giacomo a pensare a un testo. Quello che mi propose era molto bello, ma sentivamo mancasse un incipit. Finché non spuntò quel verso: ‘La libertà, quando arriverà, avrà un vestito semplice’. Era perfetto, mi faceva pensare al quadro di Delacroix con la donna a seno scoperto tra le schiere di gente. Ci sentivamo ispirati, io e lui: guardavamo fuori dalle finestre, contemplavamo il sole che declinava sul finire dell’inverno, i campi lontani. Gli chiesi soprappensiero: ‘Chissà se la morte sarà così, quando arriverà’. Non ricordo cosa mi rispose. Ci salutammo. Poco dopo ricevetti una tele- fonata dall’ospedale. Avevano già portato Francesco nella camera mortuaria. Non riuscivo a credere che un incidente me l’avesse portato via. Erano i giorni di Sanremo: cercavo in Rete la conferma a una notizia che per ore avevo continuato a rimuovere”. Era il 21 febbraio 2014. “Non ho mai voluto pubblicare quella canzone, non lo farò mai, non voglio la facile commozione strumentalizzando la morte di Francesco. Mi farebbe orrore”.
Ed era solo l’entrata nel tunnel della storia del Banco: alla fine di luglio 2015 lo stesso Vittorio è colpito da un ictus che lo riduce in gravissime condizioni, prima di una ripresa completa. Il 3 ottobre dello stesso anno si spegne dopo una lunga malattia l’altro membro storico, il chitarrista Rodolfo Maltese. “Mi incazzai contro il destino. Un misto di rabbia e amore mi convinse che dovevo proseguire, e lo farò finché ne avrò le forze. In modo che vivano ancora Francesco e Rodolfo, che restino qui con noi”. Così la riedizione Legacy del l eg ge n da ri o album del 1973 Io sono nato libero, terzo capitolo della discografia del
BMS si è trasformata in qualcosa di più della ripulitura archeologica di una stagione folgorante del prog italiano. “Perc hé ”, spiega Vittorio, “il progressive non può per definizione arenarsi in un polveroso clichè. È musica in perenne evoluzione, in costante movimento. In tutto questo tempo il pubblico ne è divenuto coautore”. Così, accanto alle tracce di quella formidabile sortita di 44 anni fa, eccone in un doppio cofanetto – suonate dalla nuova formazione del Banco – altre cinque inedite di articolata bellezza, tra cui La libertà difficile, scaturita da un’idea di Michelangelo Nocenzi, figlio di Vittorio, come in un passaggio di consegne. O Je Suis, che torna a indagare sul concetto di oppressione. “Quel mio ‘Je Suis Libre’, ripetuto ostinatamente durante il brano, è lo slogan che troppe volte abbiamo sentito in questi tempi per via del terrorismo. Così come nel secolo scorso siamo stati costretti a intonarlo: è il mantra che ci serve per non dimenticare Allende, Budapest invasa dai sovietici, lo studente Jan Palach che si dà fuoco a Praga contro l’intervento di Mosca, Tien An Men e Sarajevo, l’Iraq, l’Iran, la Siria, fino ai morti affogati di oggi, o agli attacchi dei fondamentalisti. Senza pace non si può parlare di libertà. Non potremo farlo fin quando qualcuno vorrà mettere sotto scacco la nostra sopravvivenza”. Mentre Ap re s rien, rien est plus le meme è l’ideale sequel dell’originario Dopo... niente è più lo stesso.
Il primo incontro con l’ex frontman: ‘Vidi la sua pancia, poi la barba con molliche e formaggio. Addosso una tracolla militare’
VITTORIO si illumina: “Continua la storia del soldato che torna a casa dopo Stalingrado. Abbiamo scoperto dove poteva idealmente vivere: queste ‘vecchie dagli antichi veli’ le abbiamo trovate a San Paolo Albanese, provincia di Potenza, dove si parla arbereshe, e dove le donne intonano un canto nuziale nella loro antica lingua in onore della sposa del reduce. È scampato alla mattanza in Russia, e speriamo abbia vissuto una vita felice, dopo l’abisso della guerra”.