Russiagate, Trump trema: l’ex braccio destro agli arresti
Arrestato Paul Manafort, chiacchierato ex capo della campagna elettorale del tycoon: contro di lui 12 capi d’imputazione per cospirazione
Come
un fiume carsico, l’inchiesta sul Russiagate, rimasta sotto traccia per circa cento giorni, riemerge (quasi) all’improvviso e travolge i pedoni più deboli della formazione di pretoriani schierata a difesa di Trump, presidente ‘per grazia di Putin’ – è il sospetto, non ancora l’accusa. Che qualcosa bollisse in pentola del procuratore speciale Robert Mueller, l’uomo che indaga sull’intreccio di contatti tra la campagna di
Trump ed emissari del Cremlino a vario titolo - o millantato credito -, lo si sapeva da giorni: sabato, la Cnn aveva annunciato imminenti arresti.
Un’indiretta conferma veniva dal nervosismo del presidente e dall’insolito ardire di molti esponenti repubblicani, che sempre più frequentemente prendono le distanze dalla Casa Bianca, come topi che abbandonano la nave che affonda: nei sondaggi mai così bassa la popolarità d’un presidente dopo 9 mesi. Non siamo ancora alla messa sotto accusa di Trump, se mai ci arriveremo: finiscono in manette e sotto torchio l’ex capo della campagna presidenziale Paul Manafort, lobbista dalle numerose affiliazioni – Trump lo scaricò nell’estate del 2016, mesi prima del voto – e il suo ex socio Rick Gates. Manafort e Gates si sono consegnati agli agenti federali: interrogati da un giudice, si dichiarano innocenti e finiscono agli arresti domiciliari, con una cauzione altissima. Rischiano fino a 80 anni di carcere.
Contro di loro, 12 capi d’imputazione, fra cui l’accusa di cospirazione per oltre un decennio, tra il 2006 e il 2017. Viene inoltre contestato di non essersi registrati come agenti di uno Stato straniero – quando rappresentavano l’Ucraina filo- russa del presidente Yanucovich – e di aver reso dichiarazioni false; e sono incriminati per riciclaggio e omessa denuncia di conti esteri: si parla di 18 milioni di dollari portati a Cipro e di 75 milioni su conti offshore.
Difesa imbarazzata La Casa Bianca minimizza, ma il “segugio” Mueller non si potrà più fermare
IL MAGNATE COMMENTA gli sviluppi del Russiagate su Twitter: “Tutto ciò risale a anni fa, prima che Paul facesse parte della mia campagna. Perché l’attenzione non è sulla corrotta Hillary e sui democratici???”. La linea di difesa di Trump è debole: le accuse contro Manafort risalgono certo a un momento antecedente al coinvolgimento nella campagna presidenziale, ma coprono un arco di tempo che comprende tutta la campagna e va oltre il voto, fino all’in- sediamento del presidente.
Sul taccuino del procuratore Mueller, ormai in una botte di ferro, ci sono altri nomi eccellenti del team Trump: come Michael Flynn, ex consigliere per la Sicurezza nazionale; o Jared Kushner, il ‘primo genero’, marito di Ivanka, cocca di papà Trump.
Gli avvocati di Manafort assicurano: “Trump non interferirà”. In realtà, lo ha già fatto: licenziò il direttore dell’Fbi James Comey, che non accettava di andarci leggero sul Russiagate.