Il Fatto Quotidiano

“Mio fratello martire e noi dimenticat­i dalla nuova Tunisia”

La sorella dell’ambulante suicida che nel dicembre 2010 diede il via alla rivolta

- » PIERFRANCE­SO CURZI

Il presidente dell’Europarlam­ento Antonio Tajani conferma gli aiuti per la Tunisia e lo fa nella sede più ufficiale: il palazzo del Parlamento del Bardo, proprio alle spalle del Museo dove, il 18 marzo 2015, 4 jihadisti dell’Isis uccisero 23 persone. Due giorni fitti di appuntamen­ti per l’ex membro di Forza Italia. Nel pomeriggio la visita al Bardo, dove persero la vita anche 4 italiani e, a margine della visita ufficiale, Tajani ha voluto omaggiare Bettino Craxi recandosi sulla tomba del leader socialista ad Hammamet. Oggi, oltre all’incontro con il capo del sindacato generale Ugtt e a altri appuntamen­ti, il leader dell’Europarlam­ento vedrà il presidente della Repubblica, Beji Caid Essebsi, e il premier Youssef Chahed. Ieri Tajani ha dettato le regole europee, specie in materia di migranti: “Bisogna pacificare la Libia e insieme stroncare la tratta in Nord Africa e Sahel. Ora, però, facilitate i visti europei per studiosi, imprendito­ri, favorire progetti Erasmus anche qui. Non lasciamo spazio alla Cina che ha valori differenti. È possibile cambiare l’Africa e farò di tutto per mettere nel budget Ue il miliardo di euro promesso”. Fuori, al contrario, lo stesso governo lodato da Tajani è sotto l’attacco di circa 2mila professori, universita­ri e non, che protestano per una legge che li penalizza. I manifestan­ti sfondano le barriere e tentato d’entrare in Aula, la polizia interviene di forza.

La Tunisia è una polveriera. Da oltre due settimane alcune cittadine dell’in ter no sono in rivolta. Scioperi e disordini legati alla tragedia del mare tra l’8 e 9 ottobre al largo delle isole Kerkennah. Una nave della Marina tunisina avrebbe speronato un barcone carico di migranti, provocando la morte di 45 persone, decine i dispersi.

BIR ALI BEN KHALIFA, S id i Bouzid, Bir el Hafey, Kasserine. La gran parte delle vittime veniva da queste città, epicentro storico della protesta, dove povertà e disoccupaz­ione vanno a braccetto e dove l’Isis ha facilmente trovato nuovi adepti, ponendo la Tunisia al 1° posto nella classifica dei foreign fighterspr­estati allo Stato Islamico. L’area di malcontent­o è sempre la stessa, quella attorno a Sidi Bouzid, la cittadina del martire Mohamed Bouazizi, l’ambulante, allora 27enne, che si diede fuoco il 17 dicembre 2010. Episodio chiave per la storia moderna non solo di Maghreb e Medio O- riente. Nessuno pensava che da quel gesto, clamoroso nella sua tragicità, sarebbe esplosa una rivoluzion­e capace di spazzare via governi, classi politiche ed economiche in almeno 5 Paesi: Tunisia, appunto e, come in un domino, Libia, Egitto, Siria e Yemen. Nessuno, neppure chi lo conosceva meglio di tutti: “A mio fratello della politica non importava nulla – ci racconta una delle 3 sorelle, Leila, da 4 anni a Montreal, in Canada, dove lavora come tecnica specializz­ata in una grande azienda che produce parti del sistema di atterraggi­o degli aerei – lui voleva solo lavorare onestament­e, aiutare la famiglia. Non aveva grilli per la testa e vizi, non viaggiava, i soldi che guadagnava li spendeva per le cose di tutti i giorni, la sua vita era dedicata al lavoro. Aveva un difetto Mohamed, quello di non abbassare la testa, di non accettare la corruzione, le con- tinue richieste di soldi da parte della polizia: 10 dinari oggi, 15 domani. Lui vendeva frutta e verdura con un carretto, all’alba andava al mercato per comprare i prodotti e girava per la città in cerca di clienti. Quel giorno ero all’università, un’amica mi ha chiamato, sono corsa, ma Mohamed era stato portato in ospedale a Sfax e poi a Ben Arous. Non l’ho più visto”.

LA BEFFA OLTRE IL DANNO per la famiglia Bouazizi: “Invece di ricevere solidariet­à siamo stati minacciati – aggiunge Leila Bouazizi, oggi 31enne madre di due bambini – dal governo, dalla gente. Continuano a dire che siamo diventati ricchi dopo la morte di mio fratello e invece non abbiamo visto un euro, solo dolore e vergogna. I nostalgici ci accusavano di aver provocato la rivoluzion­e. La Francia ha dedicato una piazza a Mohamed, il Canada ci ha accolto con calore (oltre a lei ci sono la mamma Mannoubia, la sorella Samia e i fratelli Karim e Zied, mentre il padre Taieb e la sorella Basma sono a Tunisi e il fratello Salem vive a Sfax, ndr), la Tunisia ci ha chiuso la porta in faccia”. Chi sta cercando di fare di tutto per partire è proprio Salem Bouazizi, il primogenit­o della famiglia. Lo incontriam­o a Sfax dove lavora come operaio mobiliere. Ci racconta di una foto che ha fatto epoca e lui quel giorno era lì, a due passi: “Pochi giorni dopo la tragedia, prima che mio fratello morisse (Bouazizi è rimasto in coma dal 17 dicembre al 4 gennaio, quando è spirato, ndr) nella sua stanza è arrivato l’allora presidente Ben Ali. Era attorniato da uomini della sicurezza, ma a noi familiari disse che entro pochi giorni Mohamed sarebbe stato trasferito in un ospedale specializz­ato in Francia. Da quel letto mio fratello non si è più mosso, fino al giorno della morte. Avrei voluto prendere a pugni la faccia di quel bastardo”. Dieci giorni dopo la morte dell’ambulante, Zine e-Abidine, Ben Ali è fuggito dalla Tunisia, ponendo fine a un regime che durava dal 1987.

Invece di ricevere solidariet­à siamo stati minacciati: continuano a dire che siamo diventati ricchi

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