I “cugini” secessionisti nel Belgio che fu spagnolo
I nazionalisti dell’Nva ospitano i “fuggiaschi” di Barcellona. Il passato e la patria di Carlo V
Qualcosa in comune Barcellona e Bruxelles certamente ce l’hanno e non è soltanto Art Nouveau, lo stile architettonico fantasioso e bizzarro di Gaudì in Catalogna e di Horta nella capitale del Belgio. L’autoproclamata Repubblica di Catalogna, infatti, non ha trovato sponda in nessuna nazione europea, tranne Edimburgo, dove governa il nazionalista Snp, e Bruxelles appunto. Non la Bruxelles sede delle istituzioni europee, fermamente allineate sulla linea dura di Madrid contro i separatisti catalani, ma la città capitale del Belgio e sede del governo federale di coalizione del premier Chales Michel, di cui è azionista di maggioranza il partito nazionalista fiammingo N-VA (Alleanza neofiamminga). Senza dimenticare la storia: proprio le Fiandre, regione settentrionale del moderno Belgio, sono state spagnole dalla metà del 1500 alla metà del secolo successivo sotto gli imperi di Carlo V (nato a Gand) e di suo figlio Filippo II.
La notizia della presenza di Carles Puigdemont e di altri 5 membri del destituito governo catalano in Belgio è rimbalzata da diversi quotidiani spagnoli. In particolare El Periodico riferisce della volontà del leader catalano di chiedere asilo politico dopo la minaccia di arresto ventilata ieri da parte del procuratore generale spagnolo Juan Manuel Maza.
GIÀ IL MINISTRO a ll ’ i mm igrazione Theo Francken, appartenente proprio al partito nazionalista fiammingo, aveva avanzato all’indomani della dichiarazione d’indipendenza catalana l’ipotesi di accogliere il governo di Barcellona, salvo poi essere seccamente smentito dallo stesso premier belga Michel.
Ma su che base sarebbe potrebbe essere accolta la Generalitat in fuga? Il sistema giuridico belga è l’unico tra quelli del Paesi europei a poter permettere che anche un cittadino di un altro Stato europeo con mandato d’arresto possa far appello a un tribu- nale locale, anche se solo in casi speciali. “In generale, l’asilo non è previsto all’interno dell’Unione, dato che si suppone tutti i membri rispettino lo Stato di Diritto e i diritti fondamentali”, spiega Manlio Frigo, professore di Diritto Internazionale e consigliere giuridico dell’Ispi di Milano. “Il caso sarebbe diverso se in un Paese membro venissero a mancare le garanzie democratiche. In tal caso, si potrebbe invocare l’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea, che tuttavia do- vrebbe avere il via libera da tutti gli Stati”. In passato, il Belgio ha considerato il caso di minoranze oppresse. Nel 2016 il Commissariato generale belga per i rifugiati ha ricevuto 20 domande d’asilo da parte di Rom di tre Paesi dell’Est Europa, che sono tuttavia state respinte.
LA SCELTA DEL BELGIOè dunque più politica che giuridica. Come dimostra anche il fatto che, prima che dalle Fiandre, il supporto al governo catalano era arrivato dalla Scozia. La first minister Nicola Sturgeon aveva twittato fuori dal coro venerdì: “Rispettiamo la loro scelta, il popolo catalano deve avere la possibilità di determinare il proprio futuro”. Una netta presa di distanza dalla posizione ufficiale del Regno Unito: da Londra, il primo ministro britannico Theresa May aveva infatti definito la proclamazione d’indipendenza catalana senza nessun valore, poiché basata sul referendum illegale del 1° ottobre. Una delle posizioni più dure tra i leader europei, anche perché indi- rettamente rivolta proprio ai separatisti di casa sua, quelli di Edimburgo.