Da Assange al Dalai Lama, il club degli “esclusi”
Quando i rifugiati sono una questione politica
Di
( auto) esiliati famosi è piena la storia, ma anche il presente non scherza. Karl Marx, il più temuto dei cospiratori di tutti i tempi, scrisse le sue opere principali dall’esilio durato quaranta anni, a Londra e non solo. E giusto un secolo fa, il leader dei bolscevichi Lenin abbandonava il suo rifugio svizzero, compiendo una lunga traversata per andare a conquistare il potere nella russa San Pietroburgo.
Gli esiliati politici dei nostri giorni non usano più il treno per spostarsi, viaggiano in aereo e cavalcano i social media. Così Il governo del catalano Puigdemont, che ripara a Bruxelles dai nazionalisti fiamminghi ma poi è costretto a tenere la conferenza stampa nel club dei giornalisti di Bruxelles – dato che nessuna istituzione se la sente di ospitarlo ufficialmente – va a fare compagnia, tra gli altri, a quello tibetano (a cui certamente non dispiacerebbe essere accostato). Senza dimenticare come in esilio, per sfuggire all’arresto sicuro, so- no attualmente due moderni paladini della libertà del Web dal destino parallelo come Julian Assange e E d wa r d Snowden.
La madre di tutti gli esili politici sembra essere quella del Dalai Lama, capo spirituale e temporale del buddismo tibetano. Bisogna risalire al 1959, quando dopo una rivolta anti-cinese della minoranza etnica nella capitale della regione, Lhasa, seguita dalla repressione di Pechino, l’attuale Lama Tenzin Gyatso chiese e ottenne rifugio in India. Da allora, la piccola città di Dharamsala lo ospita, insieme a funzionari del suo “governo” e a decine di migliaia di rifugiati tibetani. La Cina ne ha più volte chiesto l’estradizione alla potenza rivale, ricevendo risposta negativa.
È INVECE LA SVEZIA ad aver richiesto più volte senza successo l’estradizione di Julian Assange, fondatore di Wikileaks, cittadino australiano arrestato il 7 dicembre 2010 a Londra. Il Tribunale di Stoccolma emette un mandato d’arresto europeo contro di lui, reo di a- ver molestato e perfino violentato due donne in Svezia. Assange respinge le accuse come “politicamente motivate”, rifiuta di comparire davanti alla corte svedese, temendo un ulteriore trasferimento negli Usa dove sarebbe accusato di spionaggio per aver rivelato tre anni prima centinaia di migliaia di documenti segreti. Quando nel giugno 2012 la High Court di Londra sentenzia definitivamente che l’estradi- zione verso il Paese scandinavo è possibile, il fondatore di Wikileaks si rifugia presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, da cui non è mai più uscito. La prescrizione dei reati potrebbe comunque arrivare nel 2020, ma intanto è stato protetto dal presidente ecuadoriano Correa e dal suo successore Moreno.
PROTETTORE D’ECCELLENZA d el l’esilio di Edward Snowden è invece il presidente russo Vladimir Putin. Era il giugno 2013 quando l’ex agente della National Security Agency( Nsa) americana pubblica, nel cosiddetto datagate, una grande quantità di documenti: file segretissimi che rivelano un pervasivo programma di sorveglianza degli appartati Usa su cittadini ignari. Subito dopo le rivelazioni, l’informatico americano lascia Hong Kong, dove si trovava e con una fuga rocambolesca alla volta dell’Ecuador (anche lui!), dove aveva chiesto asilo, il suo aereo transita a Mosca. Lì rimane da allora, formalmente non rifugiato ma ospite. L’ipotesi di una consegna da parte di Putin come omaggio all’amico Trump, sfuma ormai tra i miasmi del Russiagate.