La guerra d’Oriente per l’auto del futuro si gioca sull’idroge no
Ci sono luoghi dove gli sprazzi di futuro diventano concreti, al di là delle logiche commerciali. Uno di questi è il Salone dell'Auto di Tokyo, in programma fino al 5 novembre prossimo. Lo specchio su quattro ruote di un sistema-Paese che dopo il tragico incidente nucleare di Fukushima nel marzo del 2011 ha accelerato la transizione verso l'eco-sostenibilità, anche nel settore auto. Che, ricordiamolo, sul mercato domestico lo scorso anno ha dato occupazione a 5,3 milioni di persone, ovvero poco più dell'8% della forza lavoro giapponese.
UNA FORZAlavoro, al contrario di quanto accade alle nostre latitudini, sempre più lontana dal gasolio. I cui commitment ora si chiamano intelligenza artificiale e elettrificazione della trazione. Da realizzare, quest'ultima, attraverso un vecchio pallino degli ingegneri automobilistici come l'idrogeno. Per almeno un paio di buoni motivi. Il primo, è che effettivamente trattasi di propellente che può essere prodotto più o meno facilmente utilizzando fonti rinnovabili, con impatto zero sull'ambiente. Il secondo, più prosaico, sta nel tentativo di contrastare l'ascesa vorticosa del nemico di sempre: quella Cina le cui aziende automotive stanno puntando dritte allo sviluppo "autarchico" di tecnologie e batterie, pronte a far soldi riversando veicoli elettrici low costsui mercati di tutto il mondo. Un pericolo con- creto, di cui naturalmente nel vecchio continente ci siamo accorti troppo tardi e a cui stiamo cercando di porre rimedio più con dichiarazioni d'intenti (l'ultima quella della Ue, che auspica la creazione di un consorzio tra aziende europee per ricerca e sviluppo sugli accumulatori) che altro.
I giapponesi invece fanno i fatti. Nel 2016 circa un quarto degli investimenti totali in ricerca e svi- luppo dell'industria locale sono venuti dall'automotive. Non è un caso che il governo Abe (a cui gli elettori hanno da poco rinnovato la fiducia, anche perché spaventati dalla minaccia nord-coreana), forte del sostegno monetario all'economia della Banca Centrale e di concerto con i costruttori abbia in programma di mettere su strada 800.000 veicoli fuel-cell a idrogeno entro il 2030. E farne crescere esponenzialmente il numero nel ventennio successivo. Una transizione che, dunque, segnerà ancor più le distanze tra l'Europa impegnata a difendere e rivitalizzare il diesel (qui la colpa è e sarà soprattutto della Germania) e il resto del mondo.
In questo scenario, gli attori principali sono pronti a puntare sull'elettrificazione della trazione, in tutti i modi possibili. Il colosso Toyota, che insieme a Mazda e Denso sviluppa batterie allo stato solido di nuova generazione (più piccole e più potenti) fa da apripista: dopo aver messo in vendita la prima auto a idrogeno, la Mirai (3.000 veicoli prodotti all'anno, che diventeranno dieci volte tanti nel 2020), rilancia proprio dagli stand del Salone di To- kyo con un autobus, il Sora, e un van, il Fine- Comfort Ride, entrambi a fuel-cell. Il primo farà parte di una flotta di cento bus destinati a rimpiazzarne altrettanti "tradizionali" nel 2020, anno delle Olimpiadi nella capitale, mentre il secondo potrebbe arrivare in produzione nel 2025. Anche Honda, con la Clarity, dimostra di voler salire sul treno dell'idrogeno, mentre Nissan e Suzuki insistono sull'elettrico puro: la prima condendolo con la guida autonoma nel prototipo Imx (e annunciando la partecipazione al prossimo campionato di Formula E), la seconda abbinandolo al suo cavallo di battaglia, ovvero il fuoristrada, con la concept e-Survivor.
MA IL MERCATOè pronto a un salto del genere? Forse non subito, ma comunque si viaggia a velocità diverse. Nel mondo, attualmente i veicoli elettrici al 100% hanno una quota dell'1% sul totale (1,2% in Europa), mentre quelli ibridi valgono il 3%. Ancora poco, tutto sommato. Secondo i dati diffusi dalla Jama, l'associazione dei costruttori nipponici, in Giappone invece lo scorso anno la quota di ibride (comprese quelle ricaricabili, ovvero le plug-in), elettriche, fuel-cell e propulsioni alternative in generale ammontava al 35% delle vendite totali. Anche se tra queste, ad onor del vero, un 10% circa sono diesel "puliti". Una differenza comunque abissale tra chi, da diverso tempo, ha dimostrato di voler tagliare i ponti col passato e chi invece persevera coi vecchi metodi.