Le tre Italie sono sempre più lontane dopo la crisi
L’Italia, dalla sua Unità si caratterizza per la differenza nei livelli di sviluppo economico. Fino agli anni 60 questi squilibri territoriali sono riassunti nel dualismo Nord-Sud: industria fordista al Nord contro prevalenza di attività e modalità agricole arretrate al Sud. Dagli anni 70, però, questa dicotomia non è più in grado di dare conto degli squilibri regionali, la cui articolazione si è arricchita con la diffusione dei distretti industriali nelle regioni del Nord-Est-Centro (NEC). Accanto al modello basato sulle grandi città industriali del nord-ovest, si affianca quello “d ell ’ Italia dei Comuni” e della “campagna urbanizzata ”. Trent'anni dopo, un nuovo cambiamento di paradigma tecnologico sta determinando una nuova geografia dello sviluppo italiano. L’affermarsi della “knowledge economy”, un sistema economico fondato sulle attività e sui servizi ad alta intensità di conoscenza e creatività, generatori di innovazione, sembra, nella sua prima fase, avvantaggiare le regioni che si erano industrializzate per prime e che, fra gli anni 80 e 90, avevano intrapreso il processo di terziarizzazione.
DOPO LA GRANDE CRISI, la metafora delle tre Italie rappresenta ancora le diverse forme di sviluppo territoriale in Italia? Secondo Eurostat sono tutte meridionali, con l’aggiunta di Marche e Umbria, le regioni con Pil pro-capite inferiore alla media nazionale nel 2015. Fra le restanti, la maggior parte, al 2015, aveva recuperato o quasi i livelli di reddito pro- capite pre- crisi, con l'eccezione del Lazio, in cui il differenziale negativo si attesta sul 10 per cento, e la Provincia di Bolzano, che non sembra essere stata toccata dalla crisi.
Secondo l’indice europeo di competitività regionale, Lombardia e Emilia Romagna possono essere considerate i motori dell’economia italiana. La Lombardia è la più internazionalizzata delle regioni, e quella che mag- giormente ha saputo combinare una ancora rilevante base manifatturiera con i servizi ad alta intensità di conoscenza, coadiuvati anche dai numerosi atenei presenti sul territorio, accrescendo la capacità innovativa e creativa del proprio sistema economico. Stesso discorso, seppur sulla base di un siste- ma economico di più ridotte dimensioni, per l’Emilia Romagna, dove si è riusciti a creare un legame virtuoso fra manifattura hi-tech e servizi ad alta intensità di conoscenza, anche in questo caso supportati da un’ottima offerta accademica. In queste regioni funziona la “tripla elica”, un modello basato sulla centralità dei rapporti fra u- cendole, di fatto, “scivolare verso il Sud”. Si tratta di due regioni con base manifatturiera a bassa intensità tecnologica e scarsa capacità innovativa. Un discorso a parte merita il Lazio, il cui maggiore punto di forza è la capacità e la propensione ad innovare. A differenza della Lombardia e dell’Emilia, però, dove l’innovazione si concretizza nei servizi per il mercato (manifattura e finanza), nel Lazio essa è più legata ai servizi pubblici di rango superiore.
COME AFFRONTARE il divario crescente? Abbandonare il Sud al suo destino o intervenire con politiche adeguate? Dobbiamo prendere atto dell’importanza che conoscenza e innovazione giocano negli attuali sistemi economici e che, l’Italia tutta, presenta un certo ritardo nel passaggio verso questo paradigma; secondo, che questo passaggio necessita di capitale umano adeguato in termini di offerta di lavoro, ma anche dal punto di vista della domanda che esso genera. L’investimento in capitale umano, però, i cui effetti sarebbero visibili nel medio termine, non sembra interessare l’agenda politica quanto dovrebbe. Negli ultimi anni, infatti, gli investimenti nell’un ive rs it à, nella ricerca e nella scuola sono diminuiti.
Ne ll’agenda pubblica, inoltre, dovrebbero occupare una posizione centrale l’implementazione dell’economia circolare, la lotta al dissesto- idrogeologico e una politica energetica “sbilanciata” verso le rinnovabili. Queste politiche sono in grado di contribuire allo sviluppo nazionale, e in particolare del meridione, riuscendo a coniugare attività di ricerca, sviluppo e innovazione con il mantenimento degli attuali livelli di manodopera meno qualificata. Conoscenza, infine, è anche cultura. L’accostamento fra patrimonio culturale e tecnologia, sia in termini di tutela che di fruizione, può contribuire a un rilancio dell’Italia e in particolare del suo Mezzogiorno. Forse quegli 80 euro potevano essere meglio impiegati.
* UNIVPM, Ancona
Sviluppo
Dipende dalla “tripla elica”: i rapporti tra atenei, centri ricerca, industria e Stato