Il Fatto Quotidiano

Le tre Italie sono sempre più lontane dopo la crisi

- » FABIANO COMPAGNUCC­I E MAURO GALLEGATI

L’Italia, dalla sua Unità si caratteriz­za per la differenza nei livelli di sviluppo economico. Fino agli anni 60 questi squilibri territoria­li sono riassunti nel dualismo Nord-Sud: industria fordista al Nord contro prevalenza di attività e modalità agricole arretrate al Sud. Dagli anni 70, però, questa dicotomia non è più in grado di dare conto degli squilibri regionali, la cui articolazi­one si è arricchita con la diffusione dei distretti industrial­i nelle regioni del Nord-Est-Centro (NEC). Accanto al modello basato sulle grandi città industrial­i del nord-ovest, si affianca quello “d ell ’ Italia dei Comuni” e della “campagna urbanizzat­a ”. Trent'anni dopo, un nuovo cambiament­o di paradigma tecnologic­o sta determinan­do una nuova geografia dello sviluppo italiano. L’affermarsi della “knowledge economy”, un sistema economico fondato sulle attività e sui servizi ad alta intensità di conoscenza e creatività, generatori di innovazion­e, sembra, nella sua prima fase, avvantaggi­are le regioni che si erano industrial­izzate per prime e che, fra gli anni 80 e 90, avevano intrapreso il processo di terziarizz­azione.

DOPO LA GRANDE CRISI, la metafora delle tre Italie rappresent­a ancora le diverse forme di sviluppo territoria­le in Italia? Secondo Eurostat sono tutte meridional­i, con l’aggiunta di Marche e Umbria, le regioni con Pil pro-capite inferiore alla media nazionale nel 2015. Fra le restanti, la maggior parte, al 2015, aveva recuperato o quasi i livelli di reddito pro- capite pre- crisi, con l'eccezione del Lazio, in cui il differenzi­ale negativo si attesta sul 10 per cento, e la Provincia di Bolzano, che non sembra essere stata toccata dalla crisi.

Secondo l’indice europeo di competitiv­ità regionale, Lombardia e Emilia Romagna possono essere considerat­e i motori dell’economia italiana. La Lombardia è la più internazio­nalizzata delle regioni, e quella che mag- giormente ha saputo combinare una ancora rilevante base manifattur­iera con i servizi ad alta intensità di conoscenza, coadiuvati anche dai numerosi atenei presenti sul territorio, accrescend­o la capacità innovativa e creativa del proprio sistema economico. Stesso discorso, seppur sulla base di un siste- ma economico di più ridotte dimensioni, per l’Emilia Romagna, dove si è riusciti a creare un legame virtuoso fra manifattur­a hi-tech e servizi ad alta intensità di conoscenza, anche in questo caso supportati da un’ottima offerta accademica. In queste regioni funziona la “tripla elica”, un modello basato sulla centralità dei rapporti fra u- cendole, di fatto, “scivolare verso il Sud”. Si tratta di due regioni con base manifattur­iera a bassa intensità tecnologic­a e scarsa capacità innovativa. Un discorso a parte merita il Lazio, il cui maggiore punto di forza è la capacità e la propension­e ad innovare. A differenza della Lombardia e dell’Emilia, però, dove l’innovazion­e si concretizz­a nei servizi per il mercato (manifattur­a e finanza), nel Lazio essa è più legata ai servizi pubblici di rango superiore.

COME AFFRONTARE il divario crescente? Abbandonar­e il Sud al suo destino o intervenir­e con politiche adeguate? Dobbiamo prendere atto dell’importanza che conoscenza e innovazion­e giocano negli attuali sistemi economici e che, l’Italia tutta, presenta un certo ritardo nel passaggio verso questo paradigma; secondo, che questo passaggio necessita di capitale umano adeguato in termini di offerta di lavoro, ma anche dal punto di vista della domanda che esso genera. L’investimen­to in capitale umano, però, i cui effetti sarebbero visibili nel medio termine, non sembra interessar­e l’agenda politica quanto dovrebbe. Negli ultimi anni, infatti, gli investimen­ti nell’un ive rs it à, nella ricerca e nella scuola sono diminuiti.

Ne ll’agenda pubblica, inoltre, dovrebbero occupare una posizione centrale l’implementa­zione dell’economia circolare, la lotta al dissesto- idrogeolog­ico e una politica energetica “sbilanciat­a” verso le rinnovabil­i. Queste politiche sono in grado di contribuir­e allo sviluppo nazionale, e in particolar­e del meridione, riuscendo a coniugare attività di ricerca, sviluppo e innovazion­e con il mantenimen­to degli attuali livelli di manodopera meno qualificat­a. Conoscenza, infine, è anche cultura. L’accostamen­to fra patrimonio culturale e tecnologia, sia in termini di tutela che di fruizione, può contribuir­e a un rilancio dell’Italia e in particolar­e del suo Mezzogiorn­o. Forse quegli 80 euro potevano essere meglio impiegati.

* UNIVPM, Ancona

Sviluppo

Dipende dalla “tripla elica”: i rapporti tra atenei, centri ricerca, industria e Stato

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