Weinstein spegne Frank: è l’etica del business in serie
NETFLIX Dopo lo scandalo delle molestie, la piattaforma streaming annuncia la chiusura di “House of Cards”, ma anche nuove fiction. Mentre Academy e Lgbt scaricano Kevin Spacey
Le reazioni all’onda d’urto delle rivelazioni di Anthony Rapp e la conseguente confessione di Kevin Spacey sono state imponenti, in un ambiente s ul l ’ orlo dell’e s au r im e nt o nervoso e combattuto tra i regolamenti di conti, la voglia di sanificare dei persistenti orrori e l’ondata moralizzatrice denunciata dal partito degli scettici.
All’indomani del terremoto hollywoodiano fatto di scandali ed effetti collaterali, il primo a rincarare la dose è proprio Rapp, oggi nel cast della saga Star Trek e a sua volta omosessuale dichiarato, che si è detto sollevato dall’aver contribuito a gettare luce su decenni di sopraffazione sessuale.
SPACEY ha incassato anche la fiammeggiante scomunica della gay community: “Non ci sono alcol o coming out che tengano, di fronte all’aggressione di un 14enne. La sua richiesta d’ammissione alla nostra comunità è respinta”, ha twittato Dan Savage, portavoce Lgbt. Il messaggio è: comodo cercare rifugio da noi, quando circolano accuse di pedofilia che alimentano il discredito degli omosessuali. Chi sbaglia, paghi, non è ammesso il “rifugiato sessuale”. Se porcherie del genere sono nella sua natura, peggio per lui. A Spacey non resta che prepararsi al diluvio. Passato il quale capirà cosa resta della sua carriera (non poco, vedrete. Il peccatore pentito è un classico di Hollywood). Intanto l’Old Vic, venerabile teatro inglese col quale stava negoziando il rinnovo del contratto da direttore artistico, fa sapere che ci penserà. Invece ha già deciso l’Academy of Television Arts and Sciences, annunciando che non attribuirà all’attore l’International Emmy Award che gli sarebbe stato consegnato a New York il 20 novembre. E soprattutto, il colosso dello streaming Netflix, in accordo con la casa di produzione Media Rights Capital, ufficializza la chiusura di House of Cards, serie di cui Spacey è protagonista e produttore, al termine della sesta stagione, ora in via di realizzazione.
Su questo aspetto della vicenda sorge qualche perplessità: più che da un vigoroso desiderio di punire Spacey per un brutto episodio (per ora unico, ma Varietyha aperto un feed in sulla notizia brutto presagio), la scelta potrebbe nascere dal decadimento qualitativo e di appeal della serie.
Del resto la stessa emittente ha approfittato del rumore mediatico per rivelare che alla scomparsa di House of Cards corrisponderà il lancio di un paio di spin-off, interpre- tati da personaggi di contorno della vicenda-madre: uno riguarderebbe Doug Stamper, il capo dello staff presidenziale interpretato da Michael Kelly e un altro i due giornalisti- blogger ( Constance Zimmer e Boris McGiver) che provano a smascherare le malefatte della f ir st coupleSpacey- Robin Wright. Una mossa astuta e probabilmente lucrosa. A Hollywood, nel tempo della tv, si fa così: morta una serie di successo, se ne estraggono dalle viscere altre, pronte a ripartire (per Il trono di Spade accade lo stesso). Il che non fa che confondere nelle cronache dello show business delle cose serie, come le questioni etiche, e delle cose pratiche, come il predominio delle economie.
SE POI IN QUESTA storia dalle tinte cangianti ci si mettono i nuovi interpreti che già spuntano, come un misterioso fratello di Spacey (autista di Limousine dell’Idaho e imitatore di Rod Stewart), che rilascia interviste rievocando un padre nazista stupratore, ecco che l’affare si ricopre di una patina appiccicosa.
Corruzione morale e violenza sono discorsi seri, ma perdono coerenza, in uno scenario che per natura vuole rigenerarsi. E al quale è del tutto impossibile prescrivere la rinuncia al cinismo, che gli appartiene come fattore genetico fondante.
‘Non ci sono alcol o coming out che tengano di fronte all’aggressione di un 14enne. Non farà parte della nostra comunità’