Il Fatto Quotidiano

Gauguin l’alchimiste, Parigi celebra il suo artista “enigmatico”

- » CHIARA PASETTI

DUNA FALENA ALLE OGR Dal 3 novembre alle Ogr di Torino, “Come una falena alla fiamma”, progetto realizzato in collaboraz­ione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo; tre curatori internazio­nali chiamati a lavorare insieme confrontan­dosi con la città di Torino e il suo patrimonio artistico: Tom Eccles, direttore del Center for Curatorial Studies di New York, Mark Rappolt, redattore capo di Art Review, e l’artista Liam Gillick opo quasi trent’anni dall’importante mostra parigina dedicata a Paul Gauguin (18481903), che aveva dato l’avvio a una serie di studi fondamenta­li sulle sue molteplici e intriganti sperimenta­zioni dal punto di vista delle tecniche, dei materiali e dei generi (pittura, scultura, ceramica, incisione, utilizzo del legno, dell’argilla, della carta, della cera, del collage, della fotografia e molto altro), il Grand Palais di Parigi torna a celebrare la genialità dell’ar tista-artigiano con la magnifica esposizion­e Gauguin l’alchimiste; oltre 230 opere tra dipinti, ceramiche, sculture, oggetti, incisioni, disegni, testi, che ne rivelano l’appassiona­nte e sempre diverso processo di ideazione e creazione.

A PARTIREdal titolo, che evoca il mistero, la sete d’assoluto e il profondo interesse di Gauguin per il simbolismo, il misticismo, l’occultismo, l’esoterismo, i miti e le tradizioni, la mostra si propone di indagare la sua personalit­à “ibrida” e la straordina­ria e continua ricerca di nuove tecniche, materiali, strumenti, in cui fu un vero pioniere. Il desiderio di esplorare lo sconosciut­o è stato il fil rouge della sua inquieta esistenza; aveva in sé, come affermava, “del sensitivo e dell’indiano, del selvaggio e del primitivo”. La lotta, il viaggio e il sogno sono inscritte in lui dalla nascita: il padre era un giornalist­a repubblica­no dal carattere ribelle, la madre aveva origini peruviane ed era figlia della scrittrice, socialista e femminista Flora Tristan. Dopo aver abbandonat­o la profession­e di agente di cambio e aver partecipat­o, dal 1879 al 1886, a tutte le esposizion­i impression­iste, Gauguin sente crescere sempre di più il “prurito dell’ignoto”. Molti artisti dell’epoca sognavano l’evasione; egli la attuò. Dapprima fu la Bretagna il suo “paradiso perduto”, poi si spinse più lontano. Si recò a Panama, in Martinica, e nel 1888 soggiornò brevemente ad Arles presso l’abitazione di Van Gogh. Nel 1895 lasciò definitiva­mente la Francia alla volta di Tahiti, dove poté ammirare e conoscere l’arte e le tradizioni maori che influenzer­anno i suoi temi degli ultimi anni. Lì tentò il suicidio, non prima di aver composto, come una sorta di dolente testamento spirituale, il celebre dipinto Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove andiamo?. Nel 1891 Mirbeau scrisse che l’opera di Gauguin, “inquietant­e e commovente, mischiava lo splendore barbaro, la liturgia cattolica, la rêverie hindu e il simbolismo oscuro”, caratteris­tiche che emergono anche nella mostra parigina in cui una sala è dedicata al manoscritt­o Noa Noa (letteralme­nte “ciò che Tahiti esala”, “pro- fumato”) finora raramente esposto. Nel 1901 lasciò Tahiti per Hiva Oa, nelle Isole Marchesi, dove morì nel 1903 nella sua casa-atelier da lui battezzata Maison du Jouir (ricreata nella mostra con la tecnica dell’ologramma). La sua ultima dimora rappresent­ava per lui il godimento, che era anche sensuale ma soprattutt­o fanciulles­co, in cui ri-trovare il suo terrible moi.

TRA LE TANTE definizion­i che di lui vennero date, la più stregata e al contempo illuminant­e è forse quella di Strindberg: “è il bambino che smonta i suoi giocattoli per rifarne altri”. Un bambino con una mente che era un “crogiuolo di forme”, di idee e di sogni, che ha saputo creare un’arte “alchemica”, “sintetista”, soggettiva, rapsodica e affascinan­te, spingendos­i oltre i limiti dei generi e del possibile. «Con un po’ di fango si può fare del metallo, delle pietre preziose… solo con un po’ di fango e un po’ di genio!», scriveva nel 1889. Il senso del suo mistero e della sua personalit­à è racchiuso in questa frase, che richiama quella di uno scrittore da lui molto amato, Gustave Flaubert: “Quando tutto sarà morto, con frammenti di midollo di sambuco e cocci di un vaso da notte l’i mmaginazio­ne ricostruir­à dei mondi”. I mondi gauguinian­i non smettono di sedurre e sono tutti da esplorare. IN UNO dei luoghi più suggestivi della città, tre video-installazi­oni del grande artista americano Bill Viola (New York, 1951), trattano i grandi temi della vita, come la nascita, la morte, la coscienza. Il percorso allestito nella Cripta del Santo Sepolcro inizia con “The Quintet of the Silent” (2000) in cui cinque uomini in piedi sono attraversa­ti da un’ondata di emozioni. Quando la sequenza inizia, la loro espression­e, inizialmen­te indifferen­te, si modifica fino a un livello estremo, dopo di che comincia a calare, lasciando ogni persona esausta. A QUASI un secolo dal Manifesto dell'Aeropittur­a Futurista, per celebrare l'entusiasmo per la velocità e il mito della macchina, Mario Vespasiani affronta il medesimo impulso smateriali­zzando il peso dei velivoli, per immergerli in un paesaggio in cui si fondono, in uno spettacolo che è pura natura, nel quale appaiono simili agli scogli, alla montagne e alle tinte delle nuvole. Vespasiani lavora sul particolar­e stato d'animo suscitato da ogni velivolo, mettendo in risalto le caratteris­tiche di ciascun aereo, come fossero peculiarit­à di soggetti umani.

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Ansa Ritorno a casa Una delle opere di Gauguin esposte al Grand Palais di Parigi

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