Suicidio assistito di Anas: divorata da Fs , mentre la politica sbadiglia
Il capo delle Ferrovie, Mazzoncini, ingloberà la società pubblica delle strade tra le sue 66 costole. Un piano mastodontico che non ha eguali in Europa e di cui non si capisce la convenienza
Anasaddio, largo a Renato Mazzoncini, il manager pigliatutto. L'azienda nazionale delle strade fondata nel 1928 e rifondata subito dopo la Seconda guerra mondiale non arriverà a festeggiare il secolo di vita. Sparisce, cancellata. Non fusa nelle Fs di cui Mazzoncini è il capo, non incorporata con pari dignità nell'azienda dei treni. Ma ridotta né più né meno alla stregua di una delle 66 società della holding f er r o vi a r ia . Co ns er ve rà f o r s e i l m a rchio, peraltro snaturato di recente e ridotto a un ghirigoro che sembra la sigla dell'Isis. È questa la pedestre verità che Ma zz on ci ni confida ai suoi più stretti collaboratori sulla mega operazione nel settore dei trasporti di cui si parla da mesi e affogata finora nella melassa della fusione societaria e nella retorica sulle sinergie. Dal punto di vista del capo delle Fs è un successo evidente: un'altra preda da inanellare nel già ricco carniere di conquiste, un'altra provincia da aggiungere all'Impero della Mobilità che è in cima ai suoi desideri.
È UN TERRITORIOvasto quello su cui Mazzoncini estende lo sguardo: tra Fs e Anas nascerà un gruppo con 10 miliardi di fatturato, 80 mila dipendenti, 16 mila chilometri di binari, l'Alta velocità, 7,6 miliardi di investimenti in gran parte finanziati con fondi pubblici. E poi aziende di bus in ogni parte d'Italia, società ferroviarie e di pullman acquistate ai quattro angoli del pianeta, attività di progettazione e costruzione in 20 Paesi diversi. E poi 30 mila chilometri circa di strade, raccordi come quello di Roma, la via più trafficata d’Italia, l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, numerose partecipazioni azionarie in altre autostrade da nord a sud. E infine, in prospettiva, il Ponte sullo Stretto, giudicato da Mazzoncini un’opera ferroviaria e stradale irrinunciabile. Anche se di là dal Ponte, in Sicilia, tra Messina e Palermo, tanto per dirne una, ci sono 224 chilometri di linea per lunghi tratti ancora a binario unico come nell'Ottocento. E più a sud il ponte ferroviario crollato sei anni fa sulla linea Gela-Caltagirone non è stato ancora ricostruito.
È un eccezionale centro di potere quello che Mazzoncini sta costruendo. Un'entità di pari peso e importanza dei grandi e influenti gruppi nazionali come Eni ed Enel, legati all'azionista Stato da un filo sempre più lungo e sottile. Mazzoncini è così lanciato che ormai ritiene superato perfino il nome del gruppo e pensa di cambiarlo: non più Fsi, Ferrovie italiane dello Stato, con la parola Stato scritta più in piccolo. Mazzoncini studia un altro nome per la nuova Cosa. Rimane un mistero che cosa ci guadagni il capo dell'Anas, Gianni Armani, dal suicidio assistito del gruppo di cui da due anni e mezzo è presidente e amministratore delegato. Nei fatti già accetta la subalternità. Il cronista che gli chiede indicazioni sulle manovre in corso viene invitato a rivolgersi a chi guida la partita: le Fs e Mazzoncini.
Il tutto avviene come se automobilisti e viaggiatori dei treni fossero fantasmi: nessuno sa spiegare che cosa possano guadagnarci dalla scomparsa di Anas e dal gigantismo Fs. L'operazione procede nel vuoto pneumatico della politica a cui si aggiunge la programmata distrazione dei sindacati. Fin dall'inizio il governo è sembrato uno spettatore annoiato e senza progetti, disposto a consegnare la strategia della mobilità al nuovo astro Mazzoncini sulle orme di ciò che fu fatto ai tempi del demiurgo dei binari, Mauro Moretti. Non è del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, né di Paolo Gentiloni né di Matteo Renzi l'idea di far sparire l'Anas nelle Fs. La leggenda alimentata dallo stesso Mazzoncini narra che la scintilla gli scoppiò nella testa durante il ritorno in aereo dall'Iran con Armani e una delegazione ministeriale. Da allora il progetto è cresciuto, Armani è quasi sparito e i ministri continuano a stare alla finestra. Nessuno al ministero dei Trasporti si chiede come mai tranne in Svezia e Portogallo un’ideona del genere non abbia attecchito negli altri paesi europei che più ci somigliano. Nessuno valuta costi e benefici dell'operazione o riflette sulla circostanza che le sbandierate sinergie Anas-Fs tutt'al più riguardano la manutenzione delle reti e la progettazione dove peraltro la sproporzione tra le due realtà è evidente, 1.100 progettisti alle Fs, una cinquantina all'Anas. Non c'è una logica, a meno che il ministro Delrio e lo stesso Armani non ritengano che l'Anas sia un'azienda irrecuperabile da affogare nel mare magnum ferroviario.
COME un azionista assenteista, il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, guarda altrove. Di tutta la faccenda gli interessa forse solo la parte contabile rispetto ai vincoli europei. Una volta confinata nel recinto Fs, l'Anas esce insieme a tutti i suoi debiti dal perimetro della Pubblica amministrazione e quindi dal conteggio dei debiti dello Stato. Si porta dietro 9 miliardi di euro di contenzioso accumulati soprattutto durante la sciagurata gestione di Pietro Ciucci, il predecessore di Armani. Ma dai suoi advisor, Mazzoncini ha fatto valutare bene il boccone amaro ed è arrivato alla conclusione che il gigante ferroviario può digerire pure quello.
Nell’indifferenza generale
Delrio, Gentiloni e Renzi pensano ad altro. Padoan vede solo i miliardi di debiti che escono dai conti dello Stato. E torna il Ponte sullo Stretto