Il Fatto Quotidiano

Suicidio assistito di Anas: divorata da Fs , mentre la politica sbadiglia

Il capo delle Ferrovie, Mazzoncini, ingloberà la società pubblica delle strade tra le sue 66 costole. Un piano mastodonti­co che non ha eguali in Europa e di cui non si capisce la convenienz­a

- » DANIELE MARTINI

Anasaddio, largo a Renato Mazzoncini, il manager pigliatutt­o. L'azienda nazionale delle strade fondata nel 1928 e rifondata subito dopo la Seconda guerra mondiale non arriverà a festeggiar­e il secolo di vita. Sparisce, cancellata. Non fusa nelle Fs di cui Mazzoncini è il capo, non incorporat­a con pari dignità nell'azienda dei treni. Ma ridotta né più né meno alla stregua di una delle 66 società della holding f er r o vi a r ia . Co ns er ve rà f o r s e i l m a rchio, peraltro snaturato di recente e ridotto a un ghirigoro che sembra la sigla dell'Isis. È questa la pedestre verità che Ma zz on ci ni confida ai suoi più stretti collaborat­ori sulla mega operazione nel settore dei trasporti di cui si parla da mesi e affogata finora nella melassa della fusione societaria e nella retorica sulle sinergie. Dal punto di vista del capo delle Fs è un successo evidente: un'altra preda da inanellare nel già ricco carniere di conquiste, un'altra provincia da aggiungere all'Impero della Mobilità che è in cima ai suoi desideri.

È UN TERRITORIO­vasto quello su cui Mazzoncini estende lo sguardo: tra Fs e Anas nascerà un gruppo con 10 miliardi di fatturato, 80 mila dipendenti, 16 mila chilometri di binari, l'Alta velocità, 7,6 miliardi di investimen­ti in gran parte finanziati con fondi pubblici. E poi aziende di bus in ogni parte d'Italia, società ferroviari­e e di pullman acquistate ai quattro angoli del pianeta, attività di progettazi­one e costruzion­e in 20 Paesi diversi. E poi 30 mila chilometri circa di strade, raccordi come quello di Roma, la via più trafficata d’Italia, l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, numerose partecipaz­ioni azionarie in altre autostrade da nord a sud. E infine, in prospettiv­a, il Ponte sullo Stretto, giudicato da Mazzoncini un’opera ferroviari­a e stradale irrinuncia­bile. Anche se di là dal Ponte, in Sicilia, tra Messina e Palermo, tanto per dirne una, ci sono 224 chilometri di linea per lunghi tratti ancora a binario unico come nell'Ottocento. E più a sud il ponte ferroviari­o crollato sei anni fa sulla linea Gela-Caltagiron­e non è stato ancora ricostruit­o.

È un eccezional­e centro di potere quello che Mazzoncini sta costruendo. Un'entità di pari peso e importanza dei grandi e influenti gruppi nazionali come Eni ed Enel, legati all'azionista Stato da un filo sempre più lungo e sottile. Mazzoncini è così lanciato che ormai ritiene superato perfino il nome del gruppo e pensa di cambiarlo: non più Fsi, Ferrovie italiane dello Stato, con la parola Stato scritta più in piccolo. Mazzoncini studia un altro nome per la nuova Cosa. Rimane un mistero che cosa ci guadagni il capo dell'Anas, Gianni Armani, dal suicidio assistito del gruppo di cui da due anni e mezzo è presidente e amministra­tore delegato. Nei fatti già accetta la subalterni­tà. Il cronista che gli chiede indicazion­i sulle manovre in corso viene invitato a rivolgersi a chi guida la partita: le Fs e Mazzoncini.

Il tutto avviene come se automobili­sti e viaggiator­i dei treni fossero fantasmi: nessuno sa spiegare che cosa possano guadagnarc­i dalla scomparsa di Anas e dal gigantismo Fs. L'operazione procede nel vuoto pneumatico della politica a cui si aggiunge la programmat­a distrazion­e dei sindacati. Fin dall'inizio il governo è sembrato uno spettatore annoiato e senza progetti, disposto a consegnare la strategia della mobilità al nuovo astro Mazzoncini sulle orme di ciò che fu fatto ai tempi del demiurgo dei binari, Mauro Moretti. Non è del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, né di Paolo Gentiloni né di Matteo Renzi l'idea di far sparire l'Anas nelle Fs. La leggenda alimentata dallo stesso Mazzoncini narra che la scintilla gli scoppiò nella testa durante il ritorno in aereo dall'Iran con Armani e una delegazion­e ministeria­le. Da allora il progetto è cresciuto, Armani è quasi sparito e i ministri continuano a stare alla finestra. Nessuno al ministero dei Trasporti si chiede come mai tranne in Svezia e Portogallo un’ideona del genere non abbia attecchito negli altri paesi europei che più ci somigliano. Nessuno valuta costi e benefici dell'operazione o riflette sulla circostanz­a che le sbandierat­e sinergie Anas-Fs tutt'al più riguardano la manutenzio­ne delle reti e la progettazi­one dove peraltro la sproporzio­ne tra le due realtà è evidente, 1.100 progettist­i alle Fs, una cinquantin­a all'Anas. Non c'è una logica, a meno che il ministro Delrio e lo stesso Armani non ritengano che l'Anas sia un'azienda irrecupera­bile da affogare nel mare magnum ferroviari­o.

COME un azionista assenteist­a, il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, guarda altrove. Di tutta la faccenda gli interessa forse solo la parte contabile rispetto ai vincoli europei. Una volta confinata nel recinto Fs, l'Anas esce insieme a tutti i suoi debiti dal perimetro della Pubblica amministra­zione e quindi dal conteggio dei debiti dello Stato. Si porta dietro 9 miliardi di euro di contenzios­o accumulati soprattutt­o durante la sciagurata gestione di Pietro Ciucci, il predecesso­re di Armani. Ma dai suoi advisor, Mazzoncini ha fatto valutare bene il boccone amaro ed è arrivato alla conclusion­e che il gigante ferroviari­o può digerire pure quello.

Nell’indifferen­za generale

Delrio, Gentiloni e Renzi pensano ad altro. Padoan vede solo i miliardi di debiti che escono dai conti dello Stato. E torna il Ponte sullo Stretto

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Il capo di Fs, Renato Mazzoncini, sta inglobando Anas
LaPresse Pesce grande Il capo di Fs, Renato Mazzoncini, sta inglobando Anas
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