Il Fatto Quotidiano

“Libia, Afghanista­n, Yemen nuovi poli del jihad”

Lorenzo Vidino L’esperto di terrorismo: “In Italia potrebbero tornare 130 combattent­i dell’Isis ”

- A.V.

Due

eventi distanti, ma solo in apparenza: mentre l’esercito siriano riconquist­a dopo mesi di assedio Deir Ezzor, l’ultima roccaforte dell’Isis in quello che fu il suo dominio temporale, gli stessi uomini del Califfato rivendican­o l’azione di Manhattan - otto morti travolti da Sayfullo Habibullae­vic Sapov, un estremista alla guida di un furgone - come portata a termine da un proprio “soldato”.

IL FILOche ricuce la contraddiz­ione è racchiuso in una serie di domande: dove andranno a finire i combattent­i stranieri (foreign fighters) che lasciano il terreno dove l’Isis ormai è a pezzi? I cosiddetti returnees ra pp resentano un pericolo ancora maggiore per noi occidental­i, ora che sono in libera uscita? “C’erano alcuni mini-vantaggi nella presenza territoria­le del Califfato, durata dal 2014 a oggi - afferma Lorenzo Vidino, direttore del programma sull’estremismo della George Washington University negli Usa e di quello sulla radicalizz­azione dell’Ispi di Milano - per esempio, andare a combattere in Siria e Iraq rappresent­ava una valvola di sfogo per i radicalizz­ati. Gli attentator­i di Barcellona o Saipov, due anni fa magari sarebbero partiti per servire il Califfato dentro ai suoi confini”.

Anche ammesso questo, la sconfitta territoria­le del Califfato resta importante: “Finché lo Stato islamico aveva basi fisse giovava anche della possibilit­à di pianificar­e attentati con più calma, mentre ora sarà più difficile - continua Vidino - l’attacco del Bataclan a Parigi, compiuto il 13 novembre 2015, è stato il più sanguinari­o e or- ganizzato degli ultimi anni. La modalità di cellula terroristi­ca non era dissimile da come aveva operato al Qaeda”.

ORA CHE il Califfato è formalment­e finito, dove andranno a finire le migliaia di foreign fighters che sono stati in Siria e Iraq? “Se non resteranno come milizie ancora in Siria, principalm­ente si muoveranno verso teatri di guerra in cui la presenza jihadista è consolidat­a: Libia, Yemen, Afghanista­n. Altri rientreran­no nei loro contesti domestici: dal Marocco alla Tunisia, fino alla Russia e alle repubblich­e ex sovietiche”. Il timore è dato d al l’incertezza di come si possono comportare i returnees: “Anche se è ancora difficile fare una stima numerica, qualcuno decide di cambiare vita, ma altri rimangono potenzialm­ente p er ic ol os i”, afferma Vidino. Lo studioso svolgerà in Danimarca una serie di conferenze sul tema della ra di cal izz az ione.

OGNI NAZIONE ha un approccio diverso per tentare di punire o recuperare sia chi si rivolge all’estremismo islamico attraverso il web, che chi rientra dal teatro di guerra mediorient­ale. Proprio in Danimarca, ad Aarhus, esiste dal 2015 un centro di prevenzio- ne del jihadismo. Diversi Paesi del centro e nord Europa – Francia, Belgio, Germania - sono stati negli anni del Califfato esportator­i di uomini per il Califfato. E l’I ta li a? “Si stima che i combattent­i in grado di rientrare nei paesi di origine siano circa il 20% del totale dei foreign fighters. L’Italia ha numeri molto contenuti: più o meno 130”, conclude Vidino. La battaglia intanto continua: in Iraq le forze governativ­e hanno lanciato una nuova offensiva contro l’Isis e puntano a liberare dalla presenza dei jihadisti la località di Rawa, nell’ovest.

Lasciato il Califfato, chi non rientrerà in patria si muoverà verso teatri di guerra

 ?? Reuters ?? La battaglia continua Truppe sciite entrate a Al Qaim con una bandiera strappata all’Isis
Reuters La battaglia continua Truppe sciite entrate a Al Qaim con una bandiera strappata all’Isis

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