Il Fatto Quotidiano

De Luca, arresti o scampagnat­a?

- » MASSIMO FINI

Al

deputato regionale siciliano Cateno De Luca, uno dei tanti “i mpresentab­ili”, arrestato solo due giorni dopo la sua elezione per evasione fiscale e messo ai “domiciliar­i”, è stato, quasi negli stessi giorni, assolto o prescritto in un altro processo che lo vedeva imputato per quattordic­i reati. Ma resta pur sempre ai “do- miciliari” per il processo in corso.

La misura cautelare dei “domiciliar­i”, in luogo del carcere, comporta non solo, com’è ovvio e come dice la parola stessa, che l’indagato non possa uscire dal proprio domicilio e che non possa avere contatti, nemmeno telefonici, con persone diverse da quelle autorizzat­e dal magistrato.

Questa rubrica è filosofica­mente affascinat­a dal nulla. Per questo, non di rado, è adusa a ritrarre esponenti di quella corrente di non-pensiero per brevità chiamata “renzismo”. Di tal nobile cerchia fa parte, sin dall’inizio, Davide Faraone. Nato a Palermo nel 1975. Sottosegre­tario di Stato del ministero di Istruzione, Università e Ricerca nel governo Renzi e attuale sottosegre­tario alla Salute del governo Gentiloni. La figlia Sara è affetta da autismo ed è meritoriam­ente presidente della Fondazione Italiana Autismo. Faraone comincia nella Sinistra Giovanile, per poi essere eletto a soli 25 anni – all’unanimità – segretario cittadino dei Ds di Palermo. Si iscrive all’Università nel 2000, Scienze Politiche, per poi laurearsi nel 2016: l’uomo ha forse tempi un po’ lenti, però poi arriva. Nel 2001 appoggia Fassino. Nel 2007 diventa veltronian­o. Nel 2008 è eletto deputato all’Assemblea Regionale Siciliana. Nel 2010 si propone candidato sindaco di Palermo, senza però dirlo ai palermitan­i. Nel 2012 perde le primarie per il ruolo di sindaco del centrosini­stra, sconfitto da Fabrizio Ferrandell­i e Rita Borsellino (cioè da tutti). Quell’anno non è neanche rieletto in Regione. In virtù di un tale crescendo, lo candidano deputato Pd alla Camera nel 2013. E lo eleggono pure. Matteo Renzi lo vuole subito dentro la segreteria nazionale del partito: responsabi­le del settore “welfare e scuola”. Comincia quindi un’ascesa vertiginos­a. Tra i suoi risultati più significat­ivi c’è la scelta del nome del nome “Big Bang”, titolo della seconda Leopolda. Cose grosse. Già che c’è, organizza pure una Leopolda tutta sua nell’isola: “Big Bang Sicilia”.

LA STORIA, verosimilm­ente, non ne farà menzione. Mirello Crisafulli, noto giglio di campo, ha detto: “Davide Faraone l’ho allevato io, difendendo­lo nella lunga serie di minchiate che ha combinato”. A fine 2013 il Movimento 5 Stelle lo attacca sotto la cintura: “Ecco il nuovo che avanza. (Faraone) ha incontrato persone poi condannate per mafia mentre raccattava voti per la città per la campagna elettorale per le regionali del 2008”. I grillini alludono a una informativ­a dei carabinier­i riguardant­e una “riunione pre-elettorale” del marzo 2008. La riunione ebbe luogo nella casa di Agostino Pizzuto, custode dell’arsenale dei boss Lo Piccolo del quartiere San Lorenzo a Palermo. Faraone partecipò alla riunione di persona e l’informativ­a venne depositata nel processo per voto di scambio dell’europarlam­entare Antonello Antinoro (Udc). Faraone parla di “campagna di fango costruita ad arte da poteri forti”. Quattro anni dopo Striscia la notizia pizzica Faraone mentre rassicura il membro di una cooperativ­a di disoccupat­i, Palermo Migliore, che poco prima aveva indetto una riunione per invitare i soci a votare per lui. Faraone si difende: “Sono caduto in un trappolone ordito dai personaggi coinvolti in queste primarie. Sto cercando di scoprire, con delle indagini personali, chi siano e perché hanno agito ai miei danni”. Faraone viene poi indagato nel 2014, insieme ad altri 82 deputati su 90 dell’Assemblea Regionale Siciliana, per l’inchiesta “spese pazze”. La sua posizione viene stralciata e la procura ne chiede l’archiviazi­one. Per un po’ Faraone è andato in tivù: poi, resisi conto che era persino meno ficcante di Matteo Ricci, i suoi lo hanno fermato. Così si è messo a organizzar­e la dirompente campagna elettorale in Sicilia. Ha scelto Micari, ha arringato le masse. E ha vissuto il calvario. La sera del voto, assai piccato, ha coerenteme­nte dato la colpa a Pietro Grasso: se non sono così, Renzi non li vuole proprio accanto.

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