“È il modello Barça che ha corrotto la nostra tradizione”
La storia si ripete, cambiano i soggetti, non il colore delle maglie, non diventa farsa, ma si tramuta in un dramma amplificato dal contesto. Da una parte l’Italia, dall’altra sempre la Svezia; da una parte Dino Zoff nel 1983 a Goteborg, dall’altra Gianluigi Buffon a San Siro nel 2017. “Sì, ci ho pensato. Quello contro gli svedesi è stato anche il mio ultimo match con la maglia azzurra: allora abbiamo perso (2-0) e da campioni del mondo non ci siamo qualificati per gli Europei d el l ’ anno successivo in Francia (quando erano solo otto le partecipanti)”.
Se lo aspettava? Zero. Ero fiducioso, magari potevamo soffrire ancora, ma la mancata qualificazione non l’avevo prevista. Comunque il “dramma” si è consumato a Milano, ma è iniziato prima.
Quando? In Spagna: quella batosta non è stata digerita, ha causato tremolii alle gambe, incertezze nell’animo; un ridimensionamento senza successiva presa di coscienza e necessaria crescita del gruppo. Si erano montati la testa...
Troppe pretese: quando si va in certi luoghi con i pennacchi, poi si torna a casa scornati. Massimo Oddo, da ex campione del mondo in Germania, accusa il movimento calcistico di non essersi rinnovato. Invece siamo in un momento di ricambio generazionale, secondo me dei giovani interessanti ci sono. Lui si riferiva anche ai dirigenti. Ventura non si è dimesso.
Deciderà lui, non voglio sindacare.
Però la situazione non è semplice. Semplice? È pesante: non ci siamo qualificati nonostante le quattro stellette sulla maglia, e probabilmente saremo l’unica big a saltare l’a ppuntamento. La Figc non è all’ avanguardia. Sta dicendo che la Federazione è vecchia? Allora le rispondo che è troppo avanti. Troppo. È un complimento celato?
No, una constatazione: da noi non si gioca più all’italiana, vogliono tutti concentrarsi sul possesso palla, imitano il Barcellona di Guardiola o il Milan di Sacchi; palleggiano in continuazione e si sono dimenticati del nostro contropiede. Ce ne rendiamo conto, o no? In Italia ci sono troppi stranieri. Il problema parte dalle giovanili e ha poi la sua massima espressione con gli “undici” delle grandi squadre, dove tutta l’ossatura è di calciatori esteri. Con poca scelta per il ct azzurro...
Sì, e la difficoltà di creare un blocco sul quale investire: se non hai una base, quando arrivi in Nazionale hai maggiore difficoltà a creare i giusti meccanismi; si allungano i tempi, non si amalgamano, non c’è nessuno a trasmettere le regole e i binari sui quali costruire una formazione preparata e competitiva. Lei ritiene la non qualificazione come indice del declino dell’ intero Paese? No... forse. Certamente c’è bisogno di altri giovani da crescere; ai miei tempi, con l’Italia, eravamo in quattro ad arrivare dal Friuli e in dieci a giocare in Serie A. Oggi non c’è nessuno. E quindi?
Il calcio si sta spostando verso il sud del mondo, dove c’è maggiore fame, dove si può giocare liberamente e dappertutto. Le uniche eccezioni sono la Germania e forse l’Olanda.
Non la Svezia.
No, loro proprio no.
Lunedì, alla fine, ha pianto come Buffon?
Non riesco a esprimere in maniera così esplicita le mie emozioni, ma il dispiacere è stato ed è profondo.
Puntiamo sul possesso palla, imitiamo squadre come Barcellona e ci siamo dimenticati del nostro storico contropiede