Il Fatto Quotidiano

“È il modello Barça che ha corrotto la nostra tradizione”

- Dino Zoff » ALESSANDRO FERRUCCI

La storia si ripete, cambiano i soggetti, non il colore delle maglie, non diventa farsa, ma si tramuta in un dramma amplificat­o dal contesto. Da una parte l’Italia, dall’altra sempre la Svezia; da una parte Dino Zoff nel 1983 a Goteborg, dall’altra Gianluigi Buffon a San Siro nel 2017. “Sì, ci ho pensato. Quello contro gli svedesi è stato anche il mio ultimo match con la maglia azzurra: allora abbiamo perso (2-0) e da campioni del mondo non ci siamo qualificat­i per gli Europei d el l ’ anno successivo in Francia (quando erano solo otto le partecipan­ti)”.

Se lo aspettava? Zero. Ero fiducioso, magari potevamo soffrire ancora, ma la mancata qualificaz­ione non l’avevo prevista. Comunque il “dramma” si è consumato a Milano, ma è iniziato prima.

Quando? In Spagna: quella batosta non è stata digerita, ha causato tremolii alle gambe, incertezze nell’animo; un ridimensio­namento senza successiva presa di coscienza e necessaria crescita del gruppo. Si erano montati la testa...

Troppe pretese: quando si va in certi luoghi con i pennacchi, poi si torna a casa scornati. Massimo Oddo, da ex campione del mondo in Germania, accusa il movimento calcistico di non essersi rinnovato. Invece siamo in un momento di ricambio generazion­ale, secondo me dei giovani interessan­ti ci sono. Lui si riferiva anche ai dirigenti. Ventura non si è dimesso.

Deciderà lui, non voglio sindacare.

Però la situazione non è semplice. Semplice? È pesante: non ci siamo qualificat­i nonostante le quattro stellette sulla maglia, e probabilme­nte saremo l’unica big a saltare l’a ppuntament­o. La Figc non è all’ avanguardi­a. Sta dicendo che la Federazion­e è vecchia? Allora le rispondo che è troppo avanti. Troppo. È un compliment­o celato?

No, una constatazi­one: da noi non si gioca più all’italiana, vogliono tutti concentrar­si sul possesso palla, imitano il Barcellona di Guardiola o il Milan di Sacchi; palleggian­o in continuazi­one e si sono dimenticat­i del nostro contropied­e. Ce ne rendiamo conto, o no? In Italia ci sono troppi stranieri. Il problema parte dalle giovanili e ha poi la sua massima espression­e con gli “undici” delle grandi squadre, dove tutta l’ossatura è di calciatori esteri. Con poca scelta per il ct azzurro...

Sì, e la difficoltà di creare un blocco sul quale investire: se non hai una base, quando arrivi in Nazionale hai maggiore difficoltà a creare i giusti meccanismi; si allungano i tempi, non si amalgamano, non c’è nessuno a trasmetter­e le regole e i binari sui quali costruire una formazione preparata e competitiv­a. Lei ritiene la non qualificaz­ione come indice del declino dell’ intero Paese? No... forse. Certamente c’è bisogno di altri giovani da crescere; ai miei tempi, con l’Italia, eravamo in quattro ad arrivare dal Friuli e in dieci a giocare in Serie A. Oggi non c’è nessuno. E quindi?

Il calcio si sta spostando verso il sud del mondo, dove c’è maggiore fame, dove si può giocare liberament­e e dappertutt­o. Le uniche eccezioni sono la Germania e forse l’Olanda.

Non la Svezia.

No, loro proprio no.

Lunedì, alla fine, ha pianto come Buffon?

Non riesco a esprimere in maniera così esplicita le mie emozioni, ma il dispiacere è stato ed è profondo.

Puntiamo sul possesso palla, imitiamo squadre come Barcellona e ci siamo dimenticat­i del nostro storico contropied­e

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Ansa Ex ct Dino Zoff ha allenato l’Italia dal 1998 al 2000. Ha conquistat­o una finale all’Europeo
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