Il Fatto Quotidiano

Il sogno proibito di Baggio: tornare da re in Nazionale

Scottato dalla prima esperienza nel 2010, può rientrare se si azzera tutto

- » CARLO TECCE

ve per il commissari­amento (mancato avvio del campionato, irregolari­tà di bilancio, impossibil­ità di funzioname­nto degli organi di governo) non sussistono: ci vorrebbero le dimissioni di tutta la maggioranz­a del consiglio federale e allora Malagò avrebbe un margine di manovra concreto. Mettiamoci pure la situazione precaria in Lega Serie A (di cui lo stesso Tavecchio è ancora commissari­o); il fattore-Lotito (un maestro ad approfitta­re del caos); il rischio di paralizzar­e il calcio. E si capisce perché in tanti hanno paura a fare la prima mossa. Così la palla ritorna a Tavecchio. Come se nulla fosse successo.

Un giorno, quel giorno lì: “Ripenso ancora al rigore sbagliato in finale contro il Brasile ai Mondiali del ’94. E fa ancora male come il primo giorno”. Roberto Baggio è la Nazionale, l’Italia con lo stemma rettangola­re che si fermò a pochi metri dal titolo, anzi che andò pochi metri oltre la traversa. È il fuoriclass­e di Italia ’90 e Francia ’98 con le ginocchia fragili. Un simbolo scartato, messo da parte, che ha giocato in tante squadre e vestito un’unica maglia. Quella azzurra.

BAGGIO RIPENSA al torrido pomeriggio di Pasadena, e adesso pensa, soprattutt­o, a come aiutare la Nazionale che lunedì ha sotterrato gli ultimi sessant’anni di gloria con l’esclusione dai mondiali in Russia. Il “divin codino” insegna pallone ai ragazzi, non in Italia. Ha i titoli per allenare, e non allena. Ha l’esperienza per dirigere, e non dirige. Eppure stavolta, in un momento di rottura totale, (forse) di ricostruzi­one severa, Baggio può tornare: per un ruolo apicale in Federcalci­o oppure in panchina da commissari­o tecnico. I calciatori dicono: ora o mai più, e spesso perdono. Per Baggio, davvero, è l’ultima occasione. A una condizione: un re pu lis ti profondo in Figc, dai vertici che siedono impettiti in tribuna autorità al centro di Coverciano – il pensiero va a Renzo Ulivieri – dove il futuro si concentra in un solo uomo. Baggio ci ha provato già, qualche anno fa. Con lo stesso spirito e un po’ di ingenuità. Fu la figurina con cui la Federcalci­o di Giancarlo Abete, di Carlo Tavecchio, di Mario Macalli tentò di lavare l’onta dell’eliminazio­ne ai gironi dei Mondiali in Sudafrica. Era l’estate 2010. Sembrava il punto più basso, la più grossa ignominia. E invece il presidente federale Tavecchio e il ct Gian Piero Ventura hanno stupito. Il campione di Juve, Inter e Milan fu nominato capo del settore tecnico con la missione di allevare nuovi campioni, nuovi Baggio e, chissà, nuovi Arrigo Sacchi.

Il piano del “divin codino” era semplice quanto rivoluzion­ario per un ambiente refrattari­o a qualsiasi innovazion­e: ripartire dai campetti di provincia, creare una rete larga e lunga controllat­a dalla Figc, coinvolger­e migliaia di ragazzi. Così per un anno e un mese, Baggio lavorò a un progetto di novecento pagine – custodito da un notaio milanese – che prevedeva l’apertura di trecento scuole calcio in Italia.

IL CONSIGLIO federale – allora il presidente era Abate e Tavecchio il vice – approvò con tanti compliment­i stanziando dieci milioni di euro. Il Pallone d’oro chiedeva dieci milioni di euro in tre anni, promessi più volte, mai erogati. Perché la gestione ramificata di Baggio cozzava col grumo di potere della Lega Dilettanti che ha consentito a Tavecchio di scalare la Figc. Il ragioniere di Ponte Lambro, altro fuoriclass­e, però di gaffe (fra Optì Pobà mangia-banane e sportive handicappa­te), non ha l’eloquio fluido, ma è furbo assai: nel programma elettorale, infatti, ci ha infilato pure il piano di Baggio. Certo, poi l’ha sfangata con qualche inutile “centro federale” inaugurato qua e là.

Il “divin codino” si è dimesso il 23 gennaio 2013: “Non ci tengo alle poltrone. Il mio progetto è rimasto lettera morta”. E da allora ha chiuso con il calcio in Italia. Ora l’umiliazion­e svedese può riportare Baggio in Federcalci­o, vicino agli Azzurri. Che sia una maglia o una tuta, cambia poco. C’è un altro rigore da battere. E Baggio merita un secondo tiro.

ROBERTO BAGGIO

Non ci tengo alle poltrone. Il mio programma di 900 pagine è rimasto lettera morta e ne traggo le conseguenz­e

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Divin codino Roberto Baggio; a sinistra, il presidente del Coni Giovanni Malagò e il ministro Luca Lotti
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