Il Senatùr si chiude in casa e sta zitto, gli anti-Salvini raccolgono fondi per lui
Lega taglia il personale che segue Bossi: lui non va alla Camera, né in tv
Umberto Bossi resta chiuso in casa, a digerire l’amarezza di quello che in molti ritengono l’ultimo dei dispetti compiuti ai suoi danni da Matteo Salvini: il leader felpato, dopo aver cambiato il simbolo, cancellato ogni riferimento alla Padania e persino il termine Nord dal nome del partito, ha deciso di tagliare dalle spese le due persone che da Gemonio ogni settimana a turno portavano Bossi a Roma per poter seguire i lavori della Camera. Il Capo è stato lasciato a piedi. Per questo ieri, per la prima volta dal malore che lo ha colpito nel 2004, non era in Parlamento. E ha dovuto annullare anche l’intervista con Bianca Berlinguer che ne avrebbe sancito il ritorno sugli schermi dal lontano 2003.
Appena il Co rr i er e ha riportato la notizia in molti si sono attivati per aiutare il se- natur. La “corrente nordista” del partito, nata a seguito dello strappo salviniano che ha stirato i confini padani fino in Sicilia, ha avviato una raccolta fondi spontanea tra i militanti e già ieri sera il deputato del Carroccio Gianluca Pini e l’assessore regionale Gianni Fava – avversario di Salvini alle ultime primarie – hanno rassicurato che a giorni sarà trovata una soluzione.
C’È CHI GARANTISCE però che non si è trattato di uno sgarbo personale a Bossi. Figurarsi. Dice il potentissimo vicesegretario Giancarlo Giorgetti che “il problema è molto semplice”. E al Fatto spiega: “Noi abbiamo sempre garantito a Umberto uno staff di personale e tutto quello di cui ha sempre avuto bisogno, ma al momento non abbiamo quattrini, ci hanno bloccato i conti e stiamo aspettando la decisione sui sequestri”. In effetti le casse del Carroccio non se la passano bene. A settembre il Tribunale di Genova ha disposto la confisca di 48 milioni di euro a seguito della condanna a cari- co di Bossi, dell’ex tesoriere Francesco Belsito e altri cinque imputati, per la truffa ai rimborsi elettorali tra il 2008 e il 2010. Dopo una serie di colloqui e ricorsi vari, domani si saprà se l’entità della cifra sarà confermata o no. Nel frattempo, dice Giorgetti, “dobbiamo cercare di tirare avanti ma non abbiamo più un euro”. Quindi si è deciso di ridurre ulteriormente il personale. Certo è che i guai finanziari del Carroccio sono precedenti. Tanto che gli inquirenti sui conti hanno trovato poco più di due milioni.
La Lega a trazione salviniana, ben prima dell’intervento dei giudici di Genova, aveva chiuso persino la storica sede milanese di via Bellerio, oltre al quotidiano La Padania, e messo in cassa integrazione settanta dipendenti tenendone solamente 11. Di questi, spiega Giorgetti “ben quattro sono destinati esclusivamente al Capo e ora li abbiamo ridotti a due ma speriamo, anzi crediamo che sia una soluzione temporanea”. Bossi però non vuole parlare con nessuno.
Ieri si è negato praticamente a tutti quelli che hanno tentato di contattarlo attraverso uno dei suoi fidati autisti. “Il Capo non vuole parlare”, si sentono dire molti parlamentari, per lo più non leghisti. Molti tentano di convincerlo a candidarsi altrove. Silvio Berlusconi ad esempio. Ma è più forte il richiamo del movimento del Nord fondato da Marco Reguzzoni, ex enfant prodige del Carroccio a trazione bossiana. Lui però ringrazia, sorride e se proprio insistono dice che non può proprio perché “la Lega è figlio mio”.