La sinistra si dà il nome: “Libertà e uguaglianza”
È l’ipotesi più probabile (apprezzata da Grasso) per la lista che nasce il 2 dicembre
Ora che l’ultima divisione è consumata, a sinistra è quasi tutto deciso. Il leader sarà Pietro Grasso. Il nome dovrebbe essere “Libertà e uguaglianza”, che piace anche al presidente del Senato. Ogni annuncio è rimandato al 2 dicembre, giorno del battessimo e dell’investitura del leader, in un’assemblea pubblica a Roma.
PURE IL PERIMETRO della “cosa rossa”– pardon: tendente al rosso – è tracciato. La lista unica nasce con tre addizioni e un paio di sottrazioni.
I tre partiti che sommano le forze sono Mdp, Sinistra Italiana e Possibile, guidati da Roberto Speranza, Nicola Fratoianni e Pippo Civati. Ma nel percorso, come noto, si è perso un pezzo: non ci saranno Anna Falcone e Tomaso Montanari, i referenti del movimento civico nato al teatro Brancaccio lo scorso 18 giugno.
Poi ci sarebbe sempre Giuliano Pisapia. L’ex sindaco “federatore” è ancora in bilico, continua a sostenere la necessità di un centrosinistra unito – ovvero alleato con il Pd renziano e il centro alfanian-casiniano – ma nel frattempo all’assemblea di Campo Progressista la più applaudita è stata Laura Boldrini. La quale invece ha espresso un concetto chiaro: “Non ci sono le condizioni per un’alleanza con il Pd”. Il micropartito di Pisapia – nemmeno a dirlo – è dunque a sua volta diviso: c’è chi vuole cercare riparo sotto l’ombrello renziano e chi vuole tornare alla lista unica con Bersani e gli altri. Dove ormai danno quasi per scontata l’adesione della presidente della Camera (dopo quello del Senato).
Ancora più a sinistra – a completare il quadro politico (e forse psicanalitico) – ci sono pure Rifondazione comunista e l’Altra Europa con Tsipras.
Il partito guidato da Maurizio Acerbo ha tentato di “scalare” i civici del Brancaccio (col risultato che i civici del Brancaccio si sono sciolti). Comunisti e “tsiprioti” restano saldamente al di fuori di qualsiasi ipotesi di lista unitaria con gli ex Pd e gli altri.
Anche la scelta di Falcone e Montanari è difficilmente reversibile. Lo storico dell’arte ci tiene a sottolinearlo: non esiste nessun problema personale, ma una questione politica. Secondo il Brancaccio, i partiti (Mdp, Si e Possibile) hanno divorato la società civile. Avrebbero scelto tutto da soli, disegnando un percorso blindato per spartirsi le candidature e i seggi nel prossimo Parlamento (che saranno meno dei numerosi aspiranti).
Peraltro – ennesimo paradosso – nemmeno Falcone e Montanari escono con un documento condiviso, anche se restano insieme nell’associazione che raccoglie l’eredità del percorso iniziato a giugno. Ma l’avvocatessa, che ha dimostrato piglio e carisma adatti alla politica, potrebbe essere ancora corteggiata da Fratoianni e compagni, in un ultimo tentativo di ricomporre la frattura. Almeno con lei.
UNA FRATTURA che si è consumata proprio a partire dalla scelta di Grasso. Il problema non è nel profilo del presiden- te del Senato (anche se i “civic i” faticano a considerare Grasso una figura innovativa, in grado di sottrarre voti all’astensione) ma nel metodo: una scelta dei partiti, che non sarà sottoposta ad alcuna forma di legittimazione democratica “dal basso” – la formula mantra del Brancaccio.
Il presidente del Senato non ha rinunciato a tentare di coinvolgere Falcone e Montanari: li ha chiamati e incontrati personalmente; ha convinto anche gli altri partiti della sinistra (soprattutto Mdp) a convergere su una bozza di programma più radicale rispetto a quella elaborata in un primo momento da un’apposita commissione (composta da Guglielmo Epifani per Mdp, Giovanni Paglia per Si, Montanari e Andrea Pertici per Possibile). Sembrava tutto fatto: mercoledì scorso si è arrivati a un documento firmato da tutti – compresi Montanari e Falcone – che metteva nero su bianco l’impianto politico della nuova sinistra. Il problema è che i civici volevano farlo votare dalla loro assemblea e invece il programma è stato anticipato da Mdp, che l’ha presentato per prima durante la sua direzione nazionale.
A quel punto il movimento è imploso, soprattutto per le pressioni di Rifondazione comunista ( che di “quelli del Brancaccio” era azionista di maggioranza). E i suoi due leader, stremati, hanno rinunciato definitivamente a tenere insieme i pezzi.
Divisi alla meta Oltre all’addio di quelli del teatro Brancaccio c’è l’eterna incognita del dubbioso Pisapia I motivi della frattura La scelta unilaterale dei partiti sul leader e il programma politico annunciato da Mdp