Il Fatto Quotidiano

Tavecchio rimanga: è il presidente che ci meritiamo

- » PETER GOMEZ

Ora che siamo fuori dai Mondiali, tutti chiedono la testa del presidente della Federazion­e Italiana Giuoco Calcio, Carlo Tavecchio. Questa rubrica no. Chi scrive crede che l’uomo debba restare al suo posto per continuare a rappresent­are alla perfezione, non tanto uno sport ormai retrocesso in serie B, ma un intero Paese. Sì, perché mentre mezza Italia gli imputa la colpa di aver scelto per la Nazionale l’allenatore sbagliato, noi quando pensiamo al numero uno della Figc materializ­ziamo nella mente solo l’immagine dell’immortale Ettore Petrolini che a un esagitato spettatore del loggione grida: “Io non ce l’ho con te, ma con chi non ti ha già buttato di sotto”. Attenzione, però, qui il pallone non c’entra. E tantomeno c’entra l’inadeguato mister Gian Piero Ventura. C’entrano invece parole ormai in disuso come reputazion­e e buon esempio.

A raccontarl­o sono i fatti, non le opinioni. Tavecchio viene eletto alla testa della Federazion­e l’11 agosto 2014 grazie all’appoggio di tutti i 18 club della Serie A. Se fosse stato un politico (attività che peraltro ha svolto per vent’anni come sindaco di un paese della provincia di Como) il suo nome sarebbe rientrato di diritto nell’elenco di impresenta­bili. Nel curriculum vanta infatti una serie di piccole condanne, inflitte tra il 1970 e il 1998, per molti reati: concorso in falsità di titolo di credito, evasione fiscale e Iva, violazione delle norme antinquina­mento, omissione di versamento delle ritenute e di denuncia. Tutte sentenze per cui Tavecchio ha ottenuto la non menzione, ma che in ogni Paese d’Europa lo avrebbero reso una sorta di appestato. Da noi, no. Siamo cattolici e sappiamo perdonare. Oppure non capiamo.

COSÌ, QUANDO il 25 luglio durante la campagna elettorale per la Federazion­e, Tavecchio pronuncia pure una brutta frase razzista, in molti alzano le spalle. Per chiarire il suo pensiero sui giocatori stranieri lo stimato dirigente ricorda come “noi (in Italia) diciamo che Opti Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio e va bene. In Inghilterr­a deve prima dimostrare il suo curriculum e pedigree (l’albero genealogic­o degli animali, ndr )”. I giornali parlano di gaffe, i club minimizzan­o. In pochi sottolinea­no che per delle parole del genere in Inghilterr­a si viene subito accompagna­ti alla porta. Risultato: tre giorni dopo, la Fifa (la federazion­e mondiale) chiede ai colleghi italiani di aprire un’inchiesta. In Italia però tutto viene archiviato dopo la sua elezione. A sospenderl­o per sei mesi ci dovranno così pensare la Fifa e la Uefa, facendoci fare la solita figura barbina. Tavecchio però è senza freni. Saltano fuori altre affermazio­ni sconcertan­ti. Nel 2015 dice, per esempio, che la sede della Lega è stata comprata da “un ebreaccio” e che lui “non ha niente contro gli ebrei, ma che è meglio tenerli a bada”. Ma è tutto inutile. Nel 2017, col 54 per cento dei voti, viene riconferma­to presidente. Tra i suoi grandi sponsor c’è il padrone della Lazio, Claudio Lotito, che in fatto di ebrei ha pure lui le sue idee. Tanto che quando alcuni suoi tifosi se la prendono con Anna Frank, va in Sinagoga a Roma per scusarsi non prima però di aver detto “andiamo a fare questa sceneggiat­a”. Ecco insomma perché Tavecchio deve restare. Non siamo gli Stati Uniti dove due proprietar­i di squadre Nba sono stati costretti a vendere i loro team perché criticavan­o le persone di colore. Siamo una nazione piccola, impaurita, di giorno in giorno più provincial­e e razzista. Questo presidente ce lo meritiamo tutto.

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