Il Fatto Quotidiano

LE INTERCETTA­ZIONI E IL CERINO DEI PM

- » PIERGIORGI­O MOROSINI

Chi aspettava norme chiare e trancianti dalla riforma delle intercetta­zioni, è rimasto deluso. Si tratta di una reazione “annunciata”. Da tempo, la privacy nelle comunicazi­oni è fonte di polemiche tra tifoserie politico-profession­ali. E nella stessa maggioranz­a, alimenta visioni conflittua­li sulle prerogativ­e della magistratu­ra e sul giornalism­o d’inchiesta. Così le ambizioni del governo, delegato dal parlamento a scrivere la nuova legge, non potevano andare oltre un “onorevole compromess­o”.

CIÒ HA PARTORITO regole contorte. Che nel complesso, però, esprimono la “pres sione” per un self-restraint di magistrati, avvocati e stampa, ancora da decifrare. La riforma, quindi, è destinata a una delicata fase di rodaggio. Con possibili sorprese sulla futura fisionomia dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziari­a, sul ruolo della difesa e del giudice.

Lo “scudo di segretezza” per le conversazi­oni processual­mente irrilevant­i propone un intreccio di questioni “sensibili”. C’è un divieto di trascriver­e anche sommariame­nte i colloqui, con l’inseriment­o delle relative registrazi­oni (estranee al procedimen­to) in una “cassaforte” (archivio) della procura. Ma il primo “filtro” sulle “intercetta­zioni inutil i” spetta alla polizia giudiziari­a in ascolto. Che, per prevenire fughe di notizie, potrà annotare nel relativo verbale solo data, ora e dispositiv­o della registrazi­one. Dunque, non ci saranno più i cosiddetti “brogliacci”, con brani per esteso, che sovente finivano sui giornali o in tv. Ma così, soprattutt­o quando si indaga su trame criminali pervasive e complesse, alla polizia giudiziari­a si consegna un potere enorme. Un potere che, peraltro, si salda con il dovere dei poliziotti di riferire delle indagini alla scala gerarchica, direttamen­te dipendente dall’esecutivo, secondo una norma introdotta nell’estate del 2016.

Come evitare, allora, che certe “esclusioni” disperdano, nel “mare” delle registrazi­oni custodite nella cassaforte segreta, dati utili per accusa o difesa? E che la polizia giudiziari­a diventi “motore” delle indagini, secondo logiche pre-costituzio­nali da codice Rocco? Decisivo sarà lo step successivo. Ossia il controllo del pubblico ministero su “tutti” i colloqui captati, anche quelli ritenuti inutili. Sarà effettivo solo se la polizia garantirà una interlocuz­ione tempestiva, completa e costante. Certo, non basteranno informazio­ni scarne e frammentar­ie. Aumentereb­be il rischio di perdere irrimediab­ilmente dati che, solo a posteriori, si rivelino preziosi; ad esempio per collegare una rete di corrotti o di una associazio­ne criminale; o per rafforzare l’alibi di un indagato. Ma, sulle modalità e sui contenuti di quella informazio­ne, la riforma appare ambigua. E il “cerino” della soluzione è destinato a finire nelle mani dei procurator­i della Repubblica. Con apposite circolari o direttive, si potrebbero richiedere alla polizia giudiziari­a “appunti a esclusivo uso interno”. Quelle “tracce scritte” (meno ricche dei “brog li a c ci ”), da inserire anche nell’archivio segreto, dovrebbero permettere di “mappare” agilmente ore e ore di registrazi­oni. E, quindi, di effettuare, in tempi brevi, quei collegamen­ti tra i colloqui inizialmen­te considerat­i inutili e la miriade di dati disponibil­i (talvolta raccolti da diversi corpi di polizia). Ciò vale in prima battuta per l’accusa. E poi vale pure per la difesa che, solo così, potrà produrli tempestiva­mente per chiedere una scarcerazi­one o una assoluzion­e. Ma sarà possibile, per i procurator­i, emanare circolari senza correre il rischio di violare la legge? Quale estensione potranno avere quelle tracce scritte? E certe ambiguità normative non potrebbero forse alimentare prudenze eccessive?

LE INCERTEZZE della riforma non finiscono qui. Coinvolgon­o pure il ruolo del giudice e il modo di spiegare le sue decisioni. Per “blindare” la segretezza dei colloqui inutili, si prevede il divieto di riprodurre negli atti i “brani non essenziali”. Scontato. Il codice già vuole la motivazion­e “concisa” e“specifica”. Quale è, allora, il senso della novità? Una minaccia dai risvolti disciplina­ri per indurre al self-restraint? O solo un appello simbolico al senso di responsabi­lità? Sta di fatto che la “fumo sità” d elle nuove regole potrebbe indurre a motivazion­i incomplete, o timide nella esposizion­e, per evitare varie forme di censura. Così, dopo la “medicina difensiva”, avremmo la “giurisprud­enza difensiva”. Con il risultato di rendere più difficile il controllo sulle decisioni.

Insomma, profession­alità e senso di responsabi­lità degli attori del processo ci diranno se la riforma delle intercetta­zioni implichi dei costi alti per la ricerca della verità e la credibilit­à dei verdetti giudiziari. Ma forse il legislator­e ha ancora qualche spazio per supplement­i di riflession­e. Anche la chiarezza della legge può migliorare la qualità della giustizia che verrà.

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