Il Fatto Quotidiano

Dopo lo scontro, le banche riaprono la partita Carige

La partita I soci di peso firmano l’impegno ad aderire all’aumento di capitale da 560 milioni. Il consorzio di garanzia pronto a dare l’ok

- » CARLO DI FOGGIA

Dal baratro all’a cc o rd o che congela il rischio crac. Sulla Carige di Genova la situazione si ribalta in 24 ore: i grandi soci dell’istituto firmano gli impegni a sottoscriv­ere la propria quota dell’aumento di capitale da 560 milioni saltato mercoledì notte per l’indisponib­ilità del consorzio di garanzia ( Credit Suisse, Deutsche Bank e Barclays) ad accollarsi le azioni lasciate “inoptate” dai soci. Oltre a Vittorio Malacalza e alla finanziari­a del petroliere Gabriele Volpi, che si sono impegnati a sottoscriv­ere l’aumento per il 17,6% e il 9,9%, sosterrann­o la ricapitali­zzazione, pare, anche Coop Liguria e l’imprendito­re Aldo Spinelli, titolari del 3,4% del capitale. A questi si aggiungere­bbe anche la Fondazione. Il totale si avvicina al 30%, con l’impegno di Malacalza a portare il totale al 40% aumentando la sua quota. La mossa, riferivano ieri sera ambienti vicini al consorzio avrebbe portato al libera in serata. Un accordo vincolato all’ingresso di nuovi investitor­i ingabbiati a loro volta in accordi di “pre-garanzia”, segno dello scetticism­o del consorzio sull’intera operazione. Alla fine hanno pesato i richiami partiti dal ministero dell’Economia: nessuno, alla vigilia delle elezioni, vuole che salti un’altra banca, l’ottava dal 2015.

SUL FUTUROdell­a prima banca ligure - la 12esima italiana, con 5mila dipendenti e 55 mila soci - è schiacciat­o in una partita di potere. Giovedì il titolo di Carige, già crollato del 30% da inizio settiman, è stato sospeso in Borsa dopo l’annuncio della rottura, e resta congelato. Malacalza, neofita del risparmio essendo entrato in Carige nel 2015 dopo una carriere costruita nella siderurgia ha sfode- rato i soliti modi spicci accusando il consorzio di non fare il proprio dovere. “Non ci ha firmato nessun impegno scritto”, la replica velenosa di Credit Suisse e soci. Solo dopo la firma, depositata ieri sera a Milano dal figlio Mattia Mala- calza si sono mossi anche gli altri soci e si è sbloccato il braccio di ferro.

A quanto pare lo scontro si è consumato sul controllo del gruppo. A giugno scorso Malacalza, azionista di riferiment­o con il suo 17,6%, ha silurato l’amministra­tore delegato Guido Bastianini, dopo aver cacciato il predecesso­re Piero Montani, sostituend­olo con Paolo Fiorentino. A settembre l’ ex Unicredit ha lanciato l’aumento di capitale imposto dalla Banca centrale europea entro fine anno, parte di un rafforzame­nto da 1 miliardo. Malacalza si è subito scontrato con il nuovo ad ordinandog­li che fosse tutto in opzione ai soci per non perdere la presa sulla banca, ma non è facile convincere i 55 mila piccoli azionisti ad aprire di nuovo il portafogli dopo gli 1,6 miliardi bruciati nei due aumenti di capitale del 2014 e del 2015. Il con- sorzio teme di trovarsi con una grossa fetta di “inoptato” da sottoscriv­ere, trasforman­dosi in un azionista di peso. Per questo si è guardato anche ad altri investitor­i di peso. Malacalza s’è infuriato e non ha firmato.

IERI SERA l’accordo era in dirittura d’arrivo, salvo sorprese verrà ufficializ­zato oggi. L’aumento potrebbe così andare sul mercato già la prossima settimana, una volta ottenuta l’autorizzaz­ione della Consob alla pubblicazi­one del prospetto informativ­o. Il prezzo è stato già fissato al livello minimo di 1 centesimo. Tre anni fa quando il padre padrone Giovanni Berneschi, la cui gestione ha sfasciato la banca, è stato arrestato le azioni Carige valevano in Borsa circa 5 euro (dai massimi di 10 euro toccati negli anni d’oro). Sono svaniti 4 miliardi. Se l’aumento non dovesse partire si aprirebbe lo scenario del soccorso esterno con le nuove regole europee sulle crisi bancarie che impongono perdite prima ai creditori : con la “risoluzion­e” sul modello di quanto fatto con Etruria e le altre a fine 2015 verrebbero azzerati gli azionisti e oltre mezzo miliardo di euro in obbligazio­ni subordinat­e, di cui 150 milioni in mano a migliaia di piccoli soci. Stessa cosa con la liquidazio­ne già sperimenta­ta con le due popolari venete, ma in quel caso per regalare la parte sana a una banca di peso (tipo Unicredit) servirà una “dote” statale da 3,5 miliardi e garanzie per almeno altri 4. Sembra preclusa invece la strada della nazionaliz­zazione come fatto con il Montepasch­i.

Lotta di potere Malacalza cerca di non perdere la presa sulla Cassa. Pressioni del Tesoro sui garanti

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Ansa Al timoneVitt­orio Malacalza e il presidente di Carige, Giuseppe Tesauro

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