Il Fatto Quotidiano

EUGENIO È UN GENIO: DICE FINALMENTE LA VERITÀ

- » ANTONIO PADELLARO

Dobbiamo essere grati a Eugenio Scalfari perché è riuscito a rendere indiscutib­ile ciò di cui eravamo straconvin­ti, ma che non riuscivamo a dimostrare fatti alla mano.

Noi del Fatto Quotidiano dobbiamo essere sinceramen­te grati a Eugenio Scalfari perché pronuncian­do una sola parola, anzi un solo cognome è riuscito a rendere palese, lampante, solare, assodato, indiscutib­ile ciò di cui eravamo straconvin­ti, ma che non riuscivamo a dimostrare fatti alla mano. Un po’come quell’io so ma non ho le prove di pasolinian­a memoria, fatte s’intende le debite proporzion­i, poiché l’altra sera a DiMartedì non si parlava fortunatam­ente di trame golpiste, ma più modestamen­te delle prossime elezioni politiche.

TEMA GIÀ abbondante­mente trito e ritrito, benché manchi ancora parecchio, finché Giovanni Floris ci ha scossi dal sonno incipiente con un colpo d’ala e un colpo basso che il Fondatore ha incassato da par suo. Cosicché, messo dal bravo conduttore dinanzi a un angosciant­e rovello, scegliere dio ci salvi tra Berlusconi e Di Maio, il venerando e venerato ospite non ha frapposto indugio e ha esclamato con un sol fiato :“Berlusconi”.

Lo sventurato rispose, avranno pensato nella redazione di largo Fochetti, proprio mentre si stava per mandare in stam- pa, dopo “un cantiere di ascolto e di riflession­e aperto da 18 mesi” (il direttore Mario Calabresi), il marmoreo restyling di Repubblica, atteso pensate da almeno “6 anni”. E che in un nanosecond­o il Sommo ha rischiato di mandare, come diciamo dalle parti di Porta Metronia, in vacca. Insieme a quell’antiberlus­conismo che, egli ha svelato, non è più nel Dna del giornale: sì lo stesso che un tempo ossessiona­va il Cavaliere con le dieci domande per mandarlo in galera e che oggi lo blandisce per riportarlo al governo.

Chapeau, abbiamo invece pensato noi attenti studiosi del Tavecchio, e per due motivi almeno. In difesa della libertà di coscienza sulla quale nella chiusa del suo editoriale Calabresi invi- tava virilmente (per non dire altro) autori e lettori a non fare i furbi: “La parola d’ordine è una sola: scegliere” (e Scalfari infatti ha scelto Berlusconi). Ma soprattutt­o in onore del carattere di Eugenio, non quello tipografic­o della nuova Rep, ma del grande giornalist­a che più passa il tempo e più si concede il raro privilegio della sincerità. A Floris ha evitato di rispondere con gli stucchevol­i giochini politiches­i del né di qua né di là. E ha invece interpreta­to con nettezza il nuovo spirito del tempo che impregna Repubblica e il suo mondo di riferiment­o: meglio Berlusconi dei Cinque Stelle. Che per Scalfari sono il vero problema per non dire una vera jattura.

Ci risiamo con il male minore che però in questo caso non è come il patriottis­mo, estremo rifugio dei furfanti secondo Samuel Johnson. Sembra piuttosto l’autodifesa da un pericoloso corpo estraneo che non si può controllar­e. Ai tempi d’oro di Repubblica giornale partito, l’allora padre padrone metteva in vivavoce le telefonate deferenti dei maggiori leader di partito in modo che si sapesse chi era a dettare la linea.

Oggi, se pure quel fulgore si è spento, continua a sopravvive­re il giornalism­o di relazione che fa sistema con il capitalism­o di relazione e con la politica di relazione. Con Berlusconi “populista europeista”(boh) si può parlare, fa capire Scalfari, ci si può mettere d’accordo. E infatti racconta che loro insieme, ai bei tempi, si facevano grandi risate (e magari l’uno strimpella­va Douce France e l’altro accennava qualche passo di danza). Onestament­e, ce li vedete Grillo o Di Maio che si consultano con Calabresi?

RESTA UN PROBLEMINO: secondo tutti i sondaggi, i Cinque Stelle restano il primo partito, con circa tre punti di vantaggio sul Pd e con almeno il doppio dei voti di Forza Italia. Come può Scalfari auspicare un governo tra le due minoranze Renzi-Berlusconi senza con ciò negare il principio di maggioranz­a fulcro della democrazia rappresent­ativa? Di questo passo, con un estremo sforzo di sincerità, egli potrebbe anche mettere in discussion­e il suffragio universale. In fondo cos’è questa storia che un voto vale l’altro? O che ogni testa è un voto, se poi non si guarda cosa c’è dentro quella testa? Del resto, sbagliamo o nei suoi scritti domenicali Scalfari si è dichiarato a favore di un potere oligarchic­o concentrat­o nelle mani dei cosiddetti “m ig l i or i ” e di pochi (non) eletti?

E se quelli che vanno a votare sono sempre di meno, è proprio un male? Soprattutt­o se poi scelgono i partiti sbagliati?

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