Di Battista, un papà tenero a cui non si vuole credere
Iretroscena sulla decisione di Alessandro Di Battista di non candidarsi (“gravi contrasti con Di Maio”, “l’ha detto, ma lo farà?”, “esce dalla porta per rientrare dalla finestra”) sono un effetto collaterale che certamente il deputato grillino aveva messo in conto: il retroscenismo spinto è una delle derive della nostra professione, e naturalmente vale per Di Battista e vale per Renzi (anzi per i famosi “Renzi ai suoi”). Dunque si è detto e si continuerà a dire praticamente di tutto, prevalentemente cattiverie, sia in rete che sui giornali. Andrea Scanzi, che è suo amico, ieri ci ha raccontato che la decisione era stata meditata, digerita e presa da tempo. Eppure quasi nessuno gli crede. Perché? Farsi da parte è una scelta che spiazza perché inusuale (specie in una società che funziona al contrario, si sgomita per emergere). Basti ricordare i rottamatori della Costituzione, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, che avevano promesso di lasciare la politica se avessero perso il referendum: il primo continua a pensare di essere il candidato premier, la seconda è sottosegretaria di Stato. Un politico è come il diamante della pubblicità, è per sempre. Rara, rarissima, avis uno che ha un seggio assicurato e dice “no grazie”, rinunciando a uno stipendio importante. Per non dire della popolarità, a cui tutti paiono anelare.
“La nascita di Andrea ha dato più forza a una decisione già presa”, ha detto ieri in un’intervista al Corriere. “Ti mette davanti alle tue aspirazioni e le mie sono quelle di stare di più con lui, con sua madre e di dedicarmi alla politica in maniera diversa, con modalità diverse. Ad esempio studiando le ricerche su quei diritti acquisiti in altri Paesi che da noi sembrano utopie, come alcune politiche sociali nei Paesi scandinavi. È incredibile: non avrei mai pensato che un esserino che non parla e non cammina potesse rivoluzionare così tanto il mio mondo”.
ANCHE LE RAGIONI portate a sostegno della decisione (“irrevocabile”, nonostante le pressioni degli attivisti e dei vertici del Movimento) sono davvero poco comuni: quanti sono gli uomini che ammettono così esplicitamente il desiderio di stare con il proprio figlio neonato. Quanti lo farebbero con quelle parole, che non nascondono la tenerezza? E quanti rinunciano alla carriera per la famiglia? Dai politici non sentiamo altro che frasi fatte tipo “vorrei stare di più con la mia famiglia”, come se avessero una pistola puntata alla tempia e non avessero possibilità di scelta. Chissà dove sono le femministe, le commentatrici sagaci, che a ogni piè sospinto sottolineano le disparità di carico nella gestione familiare... Forse il fatto che Di Battista sia un puzzone grillino e non un sincero democratico del Pd fa la differenza (e naturalmente non dovrebbe). Detto questo, Di Battista è uno dei sostenitori della politica dei non professionisti, favorevole al limite dei due mandati in Parlamento per non correre il rischio di diventare come gli altri, “professionisti della politica” appunto. Noi invece pensiamo che la professionalità della classe dirigente sia un valore (il che non vuol dire, ovviamente, fare il parlamentare a vita, ma semplicemente avere gli strumenti per svolgere un lavoro complesso). La scelta di Alessandro Di Battista, dunque, è perfettamente comprensibile: la politica non è affatto un mestiere sporco, ma i palazzi della politica sono spesso davvero mal frequentati. Non stupisce che dopo un giro di giostra, si decida di scendere.