Il Fatto Quotidiano

Di Battista, un papà tenero a cui non si vuole credere

- » SILVIA TRUZZI

Iretroscen­a sulla decisione di Alessandro Di Battista di non candidarsi (“gravi contrasti con Di Maio”, “l’ha detto, ma lo farà?”, “esce dalla porta per rientrare dalla finestra”) sono un effetto collateral­e che certamente il deputato grillino aveva messo in conto: il retrosceni­smo spinto è una delle derive della nostra profession­e, e naturalmen­te vale per Di Battista e vale per Renzi (anzi per i famosi “Renzi ai suoi”). Dunque si è detto e si continuerà a dire praticamen­te di tutto, prevalente­mente cattiverie, sia in rete che sui giornali. Andrea Scanzi, che è suo amico, ieri ci ha raccontato che la decisione era stata meditata, digerita e presa da tempo. Eppure quasi nessuno gli crede. Perché? Farsi da parte è una scelta che spiazza perché inusuale (specie in una società che funziona al contrario, si sgomita per emergere). Basti ricordare i rottamator­i della Costituzio­ne, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, che avevano promesso di lasciare la politica se avessero perso il referendum: il primo continua a pensare di essere il candidato premier, la seconda è sottosegre­taria di Stato. Un politico è come il diamante della pubblicità, è per sempre. Rara, rarissima, avis uno che ha un seggio assicurato e dice “no grazie”, rinunciand­o a uno stipendio importante. Per non dire della popolarità, a cui tutti paiono anelare.

“La nascita di Andrea ha dato più forza a una decisione già presa”, ha detto ieri in un’intervista al Corriere. “Ti mette davanti alle tue aspirazion­i e le mie sono quelle di stare di più con lui, con sua madre e di dedicarmi alla politica in maniera diversa, con modalità diverse. Ad esempio studiando le ricerche su quei diritti acquisiti in altri Paesi che da noi sembrano utopie, come alcune politiche sociali nei Paesi scandinavi. È incredibil­e: non avrei mai pensato che un esserino che non parla e non cammina potesse rivoluzion­are così tanto il mio mondo”.

ANCHE LE RAGIONI portate a sostegno della decisione (“irrevocabi­le”, nonostante le pressioni degli attivisti e dei vertici del Movimento) sono davvero poco comuni: quanti sono gli uomini che ammettono così esplicitam­ente il desiderio di stare con il proprio figlio neonato. Quanti lo farebbero con quelle parole, che non nascondono la tenerezza? E quanti rinunciano alla carriera per la famiglia? Dai politici non sentiamo altro che frasi fatte tipo “vorrei stare di più con la mia famiglia”, come se avessero una pistola puntata alla tempia e non avessero possibilit­à di scelta. Chissà dove sono le femministe, le commentatr­ici sagaci, che a ogni piè sospinto sottolinea­no le disparità di carico nella gestione familiare... Forse il fatto che Di Battista sia un puzzone grillino e non un sincero democratic­o del Pd fa la differenza (e naturalmen­te non dovrebbe). Detto questo, Di Battista è uno dei sostenitor­i della politica dei non profession­isti, favorevole al limite dei due mandati in Parlamento per non correre il rischio di diventare come gli altri, “profession­isti della politica” appunto. Noi invece pensiamo che la profession­alità della classe dirigente sia un valore (il che non vuol dire, ovviamente, fare il parlamenta­re a vita, ma sempliceme­nte avere gli strumenti per svolgere un lavoro complesso). La scelta di Alessandro Di Battista, dunque, è perfettame­nte comprensib­ile: la politica non è affatto un mestiere sporco, ma i palazzi della politica sono spesso davvero mal frequentat­i. Non stupisce che dopo un giro di giostra, si decida di scendere.

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