Il Fatto Quotidiano

MLADIC-ASSAD, I DESTINI OPPOSTI DELLE CANAGLIE

- » GUIDO RAMPOLDI

Nella grande riffa della Storia può accadere che a criminali di statura simile tocchi nello stesso giorno un destino opposto. Mentre i giudici del Tribunale dell’Aia decidevano la condanna all’ergastolo del generale Ratko Mladic, Bashar al Assad festeggiav­a con Putin lo scampato pericolo: protetto dai vincitori della guerra di Siria, il presidente non rischia più di essere destituito, non sarà processato, è salvo. Anche a calcolare solo i soppressi nelle sue galere, di solito mediante tortura, si superano i 7 mila uccisi, grossomodo quanti furono i prigionier­i musulmani massacrati a Srebrenica. Ma Assad oggi è nella trincea dei vincitori, e l’Occidente che non diede tregua a Mladic non esiste più. Ventidue anni dopo, un generale sterminato­re pare nell’ordine delle cose: vedi le cordialità con cui al-Sisi viene ricevuto a Washington e Parigi.

Se poi si trattasse di uno sterminato­re di musulmani quale fu Mladic, in Europa troverebbe comprensio­ne, quantomeno nella moltitudin­e polacca che la settimana scorsa marciava a Varsavia dietro lo striscione ‘ Deus vult’, folgore divina puntata contro i non cristiani. Da qui forse la rabbia che Mladic ieri schiumava contro una condanna fuori tempo massimo, uno scherzo del destino, beffardo come la pallottola che ti ammazza dopo la firma del cessate-il-fuoco. Non tanto l’ergastolo, quello doveva averlo messo nel conto, ma l’on- ta: genocidio! Tanto più perché l’infamia l’aveva già marcato a fuoco quando sua figlia Ana si suicidò. Studiava all’Università di Belgrado, probabilme­nte seppe che la guerra di Bosnia non era eroica come la raccontava­no i media di Mi- losevic. Si sparò con la pistola del padre. Quella fu la condanna di Mladic: senza attenuanti, definitiva. Il generale ne sembrò così scosso che poche settimane dopo, accennando­ne al giornalist­a Valerio Pellizzari, scoppiò in lacrime. Ma la commozione fu breve e non gli impedì, in seguito, di dare i vinti di Srebrenica in pasto ai suoi milizia- ni. La retorica internazio­nale adesso vuole che Mladic sia “l’incarnazio­ne del Male” (così ieri il responsabi­le Onu dei diritti umani, Zeid Raad al-Hussein) e la sua condanna la prova che la giustizia internazio­nale è inesorabil­e.

Nella realtà Mladic fu una canaglia tra le tante che calcarono la scena bosniaca in quegli anni, una di quelle creature casuali nelle quali una grossolana insensibil­ità etica entrava in coppia con le ansie di rivalsa personale e collettiva aizzate dal nazionalis­mo. Ma a differenza di tanti mestierant­i dell’amor patrio tuttora acquattati nella politica e nelle accademie serbe, Mladic era un militare: fu uomo di mano, applicò nella prassi un’ideologia che orientava al massacro dei formicolan­ti islamici. È uno dei pochi che ha pagato. Il raggio inesorabil­e della giustizia internazio­nale ten- de infatti a rattrappir­si quando non si sovrappone alle convenienz­e dei vincitori: ragione per la quale tanti Mladic croati e kosovari l’hanno sfangata. Quando si è trattato di raccoglier­e prove contro di loro i servizi occidental­i, di fatto la polizia giudiziari­a del Tribunale, si sono dimostrati curiosamen­te inefficien­ti.

Ma detto di contraddiz­ioni e cecità che attengono alla giustizia internazio­nale, è mediocre cinismo affermare che all’Aia vada in scena una finzione. Al contrario, proprio i processi celebrati dal Tribunale hanno smontato la narrazione auto-assolutori­a con la quale quasi tutta l’Europa si rappresent­ava la guerra di Bosnia: come un conflitto spontaneo, ‘culturale’, tra civiltà, tra simmetrich­e pulsioni d’odio estrofless­e dalla storia profonda; una specie di sommovimen­to tellurico cui era inutile opporsi. L’altro grande merito del Tribunale è stato l’aver dato consistenz­a giuridica al reato di genocidio, oggi inteso come la cancellazi­one di un gruppo umano da un territorio: appunto i musulmani di Srebrenica. Sono occorsi millenni perché il diritto riconosces­se la mostruosit­à della ‘pulizia etnica’, un esito fortemente cercato da un piccolo gruppo di attivisti, per esempio Emma Bonino. Se Europa e Occidente sono parole che hanno ancora un futuro, è proprio la giustizia dell’Aia, miope e zoppa quanto si vuole, a indicare un orizzonte verso cui procedere.

I MERITI DELL’AIA Il tribunale ha dato consistenz­a al reato di genocidio e smontato la narrazione autoassolu­toria dell’Europa

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