Hammond e la Finanziaria Brexit style
Stime ridotte sul Pil ma 3 miliardi di sterline sono per il divorzio dalla Ue
nei confronti di Hariri, affinchè cercasse di circoscrivere il potere di Hezbollah (alleati dell'Iran sciita); essendo Hariri anche cittadino e uomo d’affari saudita (avendone la cittadinanza e una grande societá di telecomunicazioni prossima alla bancarotta) era l'unica pedina rimasta a Ryad per tentare di bloccare il consolidamento del cosiddetto corridoio sciita. Un serpente geopolitico che ha trovato nel sud della capitale libanese, roccaforte del movimento sciita Hezbollah - diventato negli anni sempre più potente grazie alla formazione di una milizia armata in modo sofisticato e numeroso - una fortezza sempre più inespugnabile.
“VOGLIAMO che Hariri possa governare. L'Arabia Saudita ci vuole mettere al giogo, se non fosse stato per la milizia di Hezbollah, il Libano sarebbe stato già stato annichilito da Israele”, è la considerazione più ricorrente tra coloro che sono scesi in piazza per applaudire la scelta di Hariri di tornare, rassegnare le proprie dimissioni ma accogliere la richiesta del presidente M ichel Aoun di sospenderle.
A che pro? Per tentare di mediare ancora tra Aoun, i suoi alleati Hezbollah, cioè l'Iran e l'Arabia Saudita che Hariri rappresenta di fatto, il premier dimissionario ha dovuto accettare di finire nel limbo delle consultazioni che inizieranno da ora per cercare la quadratura del cerchio: mettere in sicurezza il Libano riducendo la potenza di Hezbollah sia in termini politici sia militari. Come lo possa fare il saudita Hariri, pressato dall'Arabia Saudita in primis e da Èla
Finanziaria più gloomy, cupa, degli ultimi anni, quella presentata ieri al Parlamento dal Cancelliere dello Scacchiere – o ministro dell’Economia e delle Finanze – Philip Hammond, con le stime di crescita del Pil per il 2017 ridotte dal 2 all’1,5%. Colpa della “produttività delud en t e ” ha dichiarato Hammond, senza fare riferimenti diretti all’impatto di Br e x i t sull’economia del Paese.
Eppure, proprio su Brexit arriva l’unica vera sorpresa di questo budget: 3 miliardi di sterline messi da parte per i prossimi due anni, per garantire che il regno “sia pronto per ogni possibile esito. Abbiamo già investito 700 milioni nei preparativi, e sono pronto a mettere a disposizione più fondi se e quando dovesse essere necessario”, ha chiarito Hammond. Fino a ieri, il compassato ministro era sotto attacco per essersi rifiutato di fare piani per una Brexitsenza accordo. Da oggi, appare chiaro che è stato costretto a cedere alle pressioni dei compagni di partito che spingono per lo scenario cliff edge, il taglio netto, quello che la City e i settori produttivi considerano lo scenario da incubo. Ma che non è escluso nemmeno dal governo: solo martedì scorso David Davis, titolare del ministero per l’u- scita dall’Unione europea, ha dichiarato: “Non penso che sia nell’interesse di nessuna della parti che non si raggiunga un accordo. Ma un governo responsabile deve prepararsi a ogni eventualità”.
FRA LE EVENTUALITÀ c’è anche l’ipotesi che il Regno Unito scelga la via della deregulation selvaggia, trasformandosi in un paradiso fiscale alle porte dell’Unione Europea?
“Uno scenario improbabile e catastrofico, ma che non possiamo escludere del tutto, vista la situazione politica e la mancanza di direzione del governo May.” spiega al Fatto John Christensen, fondatore del Tax Justice Network e co-autore del saggio Singapore sul Tamigi?, pubblicato a maggio dalla City University, che analizza le conseguenze di una deregulation post-Brexit. “Il Regno Unito si può già considerare, nei fatti, un paradiso fi- scale, ma una Brexit senza accordo potrebbe portare a un paese che abbandona del tutto gli obblighi burocratici dei regolamenti europei, adotta un approccio unilaterale di libero scambio e introduce un regime di tassazione bassissimo per le imprese. È il progetto di una parte dei Tories”.
Possibile, ma suicida: “Un’uscita senza accordo provocherebbe una crisi economica e politica tale da portare a disordini sociali, e mi creda, qualsiasi investitore, compresi criminali e riciclatori di denaro, preferisce paesi stabili. Non è nell’interesse delle grandi potenze, che mirano ad una standardizzazione delle regole. E poi, finora Londra è riuscita a proteggere le sue dipendenze offshore, come Jersey, Guernsey, l'isola di Man, dai tentativi di Bruxelles di regolamentarli. Se opta per un taglio netto non potrà più intervenire”.