Pensioni, dal governo le briciole
Niente stop all’aumento a 67 anni per l’uscita dal 2019, ma sono esentate 15 categorie che svolgono lavori gravosi: ne beneficeranno 13.300 persone. Il costo è di 300 milioni annui dal 2027
Il governo ha trasformato in emendamento alla manovra l'accordo sulle pensioni sul quale è riuscito a ottenere l'appoggio di Cisl e Uil, spaccando il fronte sindacale. I lavoratori impegnati nei 15 mestieri gravosi, individuati nelle tre settimane di confronti, saranno quindi esentati dall'innalzamento dell'età pensionabile previsto per il 2019, sia per gli assegni di vecchiaia che di anzianità.
Dunque, chi per esempio fa il gruista, la maestra d'asilo, o l'operaio agricolo potrà continuare ad andare in pensione con le norme attuali: 66 anni e sette mesi di età o 42 anni e 10 mesi di contributi. Per tutti gli altri, è confermato lo scatto, quindi dovranno aspettare i 67 anni o raggiungere l'anzianità contributiva di 43 anni e tre mesi. La relazione tecnica prevede che nel primo anno i salvaguardati saranno solo 14.600 (il doppio rispetto a quanto stimato dalla Cgil che sabato 2 dicembre manifesterà contro queste misure definite “insufficienti”). Nelle stime del governo, nel 2019 saranno 6.700 persone a beneficiare della deroga e andranno in pensione di vecchiaia, mentre altri 7.900 otterranno – grazie al blocco dello scatto – l'assegno anticipato mantenendo gli attuali requisiti. Questi calcoli però contengono anche i lavoratori usuranti, che già erano esentati dall'aumento. Quindi, il totale dei salvati dal nuovo pacchetto proposto dal premier Paolo Gentiloni è 13.200. L'insieme di tutte le misure previdenziali introdotte avrà costi per le casse pubbliche che partiranno dai 121 milioni del 2019 e arriveranno a
300 solo nel 2027.
IL CAPITOLO pensioni è la più importante delle modifiche alla manovra contenute nei 18 emendamenti governativi depositati ieri. L'esame in commissione Bilancio al Senato riprenderà sabato (oggi dovrebbe arrivare la riforma delle agenzie fiscali). Tra le vari richieste, anche quella degli ottomila ricercatori precari degli enti pubblici di ricerca che chiedono la stabilizzazione. Quelli del Cnr sperano ancora che si trovi spazio per i diversi emendamenti che puntano a garantire i contratti stabili (sono 4.500 i precari dell'ente). Ieri hanno occupato la sala del cda dell'istituto per chiedere al presidente Massimo Inguscio una delibera che avvii il percorso di stabilizzazione (le agitazioni riguardano molte sedi, da Palermo a Siena). Inguscio ha detto di essere dalla loro parte, ma aspetta le risorse. Intanto ieri il ministero della Funzione Pubblica ha emanato la circolare interpretativa sul decreto Madia, quello che punta al superamento del precariato nella Pa. Potranno essere stabilizzati – tramite concorsi interni – anche gli assegnisti di ricerca con anzianità superiore a 3 anni. Secondo le previsioni, questo dovrebbe garantire il posto fisso a 50 mila statali precari. Per rendere esecutive queste norme negli enti di ricerca, però, servono finanziamenti adeguati, o - specie al Cnr - quella circolare resterà sulla carta. In materia sanitaria, invece, si attende un intervento del governo per ampliare la platea di esenzione del superticket, che non sarà abolito come chiedono Mdp e Sinistra italiana.
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