Pirandello, Bebo Storti, Toscani, la Comencini, Zerocalcare e...
IL FILM DA VEDERE Amori che non sanno stare al mondo Francesca Comencini
In principio fu un romanzo, edito da Fandango (2013), poi è venuto il film, Amori che non sanno stare al mondo . Medesima l’autrice, che nel passare dalla carta allo schermo ha prima inteso e poi dischiuso l’universalità della storia, la condivisione del racconto, la titolarità del rapporto. Claudia ( Lucia Mascino) e Flavio (Thomas Trabacchi) si sono amati, lei ama ancora. E non vuole rassegnarsi: allora come si fa, allora dove si va? E con chi? La commedia è sentimentale, ma non ci si inganni: la regista non lo è e, nella corrente accezione dispregiativa, nemmeno il film.
IN CARNET, tra gli altri, A casa nostra (2006), Un giorno speciale( 2012) e la serie tv Gomorra, Francesca Comencini guarda a Come eravamocon le azzuffatine di Barbra Streisand e Robert Redford (regia di Sydney Pollack, 1973), ricompone i Frammenti barthesiani, ridà al dialogo, e al monologo, amoroso le parole per dirlo e le immagini per dirsi. Non è poco, tutt’altro. Può venire in mente, quasi ne fosse il sequel per anagrafe e rovelli, il folgorante ( 50 0)
giorni insieme (2009) di Marc Webb, sovviene senz’al tr o come sia una storia come tante vissute e come pochissime viste al cinema: il segreto, appunto, è il racconto, la chiave quello “stare nella battaglia” che diegeticamente l’una, cinematograficamente l’altra Mascino e Comencini professano e perseguono. Di due u- na, di due un film. L’attrice guerreggia senza trovare requie, anela tutto, si dà tutta e nulla concede: una prova totalizzante, che annebbia – ed è l’incantesimo dei grandi o dei cani, qui è buona la prima – la distinzione tra persona e personaggio. Senza filtro, costringe il “povero” Trabacchi a denudarsi al chiaro di luna in mezzo alla campagna, prevarica l’amica di sempre (Carlotta Natoli), esplora l’allieva fatale (Valentina Bellè) e non molla mai, nemmeno al fuoricampo: si spinzetta i peli dall’areola del seno, e scusate ma è cinéma vérité. Senza
scherzi, è un’opera irrimediabilmente, ossia fortunatamente, femminile: non per il genere di regista e attrice, ma per la declinazione delle immagini, dei sensi, dell’amore e degli amanti.
UN CAMPO di battaglia, quello della Comencini, in cui peraltro non esistono soldatini né mezze figure: dal bravo Trabacchi alla bella scoperta di Camilla Semino Favro, tutti i ruoli hanno agio, godono di luce propria, non si fanno asservire dalla funzione narrativa – eccetto forse la Bellè – e rivendicano uno stare al
mondo e, sì, in campo e in lotta. Ci sono sequenze che ricordano, in meglio, il Terrence Malick ultimo scorso, quello di To the Wonder e
Song to Song, altre che riannodano fili scoperti con la
Nouvelle Vague dei passi a due, c’è un basso continuo di sentire e sentimento che trova resistenza contro desistenza, pugna contro ignavia, cinema contro illustrazione per immagini. Belli e mai imbelli, sono Amori che non sanno stare al mondo, ma meritano di essere trovati in sala: dal 29 novembre, lancia in resta.
È un’opera fortunatamente femminile: e non solo per la regia