SÌ, RENZI FA DANNI. MA ANCHE GLI ALTRI...
STATISTI ALTERNATIVI D’Alema sta sulle palle a tutti, Landini non ha voglia di fare il leader, Speranza si può rivalutare. Boldrini? Meglio lasciar perdere
Èla “teoria dello schianto”. Te la raccontano, quelli del Pd che non sono renziani, come qualcosa di ineluttabile. Funziona così. Fase uno: “Quello lì non capisce niente e continuerà a far finta di niente”. “Quello lì” è Matteo Renzi. Fase due: “Lui e i suoi, poiché miopi, ci condurranno allo schianto defin it i vo ”. Quello delle elezioni 2018. Fase tre: “Dopo lo schianto, quando il Pd sarà agonizzante, forse potremmo riprendercelo”. E in quel “forse” c’è tutta la tristezza del mondo. La “teoria dello schianto” ha molti punti deboli, che vanno dalla pavidità insita in un ragionamento simile al credere che uno come Renzi possa imparare dai propri errori. Figurarsi: prendere “poco” alle elezioni gli andrebbe (andrà?) benissimo, perché riuscirà comunque a piazzare tutti i suoi fedelissimi e a vivere di renzusconismo per un’altra legislatura. C’è però un dato che dà ragione ai teorici dello schianto: Renzi fa più danni della grandine, ma non si vedono alternative al Diversamente Statista.
Orlando. Più che alternativo, è la versione meno odiosa di Renzi. La sua riforma sulle intercettazioni non è il bavaglio che sognavano i renzusconiani, ma poco ci manca. Orlando è il cavallo di Troia con cui i bersaniani sperano di tornare nel Pd. Dopo lo schianto. Cuperlo. Persona oltremodo colta e garbata. Ma non morde. Un po’perché non vuole e un po’ perché non è proprio nelle sue corde. Speranza. La penuria è tale che è toccato rivalutarlo. Tra i pochi a non tradire Bersani, tra i pochi a lasciare un ruolo redditizio dopo la fiducia sull’Italicum. Il ragazzo ha coraggio e preparazione. Ma il carisma non pare averlo granché intaccato. Pis ap ia . Non è un’alternativa a Renzi: è la stampella di Renzi. Lo specchietto per le allodole. So- pravvalutato dai media, che lo accreditano di un peso elettorale quasi inesistente, se fosse un personaggio della storia sarebbe Ponzio Pilato. Però meno risoluto. Boldrini. Non scherziamo, dai. Emiliano. In tivù Che Guevara, nel partito Forlani. Per scelta: uomo scaltro e ambizioso, sogna sadicamente lo schianto per poi prendersi il partito. E vendicarsi. Grasso. Bel profilo, è l’unico che poteva unire partiti e frattaglie a sinistra di Renzi. Solo che già perde i pezzi (Falcone-Montanari) e i sondaggi lo accreditano di un 3-4%. Se si fosse dimesso prima del Rosatellum sarebbe stato un eroe, così è “solo” uno che si sente pronto per una sfida forse persa in partenza. E forse no. Rossi. Detesta Renzi perché è toscano e lo conosce be- ne. Sta dietro le fila, ma ha e avrà peso. B er s an i . Tanto apparve fragile e discutibile nel 2013, quanto risulta ora pugnace e condivisibile. Magari fosse stato così grintoso anche nel 2011, quando si piegò a Napolitano e accettò Monti. Non può più essere il leader, ma le cattiverie che gli stanno vomitando addosso i renziani e gli “osservatori” (quasi tutti ex bersaniani) sono vergognose. Civati. Bravo, garbato, coerente. Se solo ogni tanto si spettinasse, e la smettesse con quell’aria da piccolo lord che beve tè al bergamotto con la zia Beppina nel circolo di bridge di Monza, sarebbe quasi perfetto. Fratoianni. È sempre in tivù, ma paga ancora l’effetto “Fratoianni chi?”. Non buca lo schermo. Vagamente anacronistico, dovrà sconfiggere le diffidenze che comprensibilmente suscitano “i compagni massimalisti di Sel”. Lo era anche Vendola. Lo era anche Genny Migliore. Aiuto. Landini. È sempre stato il più efficace. Ma è anche uno che, di fare il “leader”, non ha proprio voglia. Come non capirlo. Montanari. Non si candiderà. E forse si è già stancato un po’. Falcone. Idem come sopra. Il Brancaccio pare già lontano. D’Alema. Sta sulle palle a tutti. Anche a se stesso. Ma dialetticamente è il più bravo del gruppo. E questa, per la sinistra “alternativa”, non è una bella notizia.