Renzi fissato con le “fake news” altrui: “Consip bolla di sapone”
“bugie” di Lega e M5S e spara le sue
Non cambiamo l’Italia, se non cambiamo l’umore dentro il Pd”. Matteo Renzi è a metà del suo intervento, la Leopolda lo applaude convinta. È il suo pubblico, la sua base elettorale, la sua assicurazione sul futuro, anche per il dopo voto, all’occorrenza per un post-Pd, un partito suo, e lui riparte da un progetto “minimal”. Lontani i tempi in cui prometteva di cambiare l’umore degli italiani, lontani anche quelli del 40%, vero o vagheggiato. L’obiettivo che l’ex premier si dà alla fine della “L8” è difensivo e ridimensionato: “Ci sarà un testa a testa tra Di Maio e Berlusconi per quale sarà il secondo gruppo parlamentare”. Il Pd non gioca per vincere le elezioni.
LA COALIZIONE è sempre meno una priorità. Non a caso, la platea regala l’ovazione a Teresa Bellanova, vice ministro allo Sviluppo economico, quando se la prende con Mdp (“l’unità si costruisce adesso, dopo il voto non è più una piattaforma unitaria, è una becera contrattazione”). Non a caso, Renzi dal palco non fa neanche promesse esplicite su Giuliano Pisapia e Emma Bonino, ius soli e biotestamento. Pure se sul tema dei diritti sociali insiste molto: ma il suo è il comizio dell’offerta politica variabile, tante piste aperte, nessuna direzione precisa. Uno solo è l’asset strategico: la guerra alle fake news (altrui). Che ieri non a caso diventa guerra alla “propaganda” secondo lui (“I pasticci sulle banche non li abbiamo fatti noi, ma certi tecnici”). E il bersaglio elettorale è chiaro: “Emerge che M5S e Lega escono sul web con gli stessi codici nell’advertising, partiti diversi utilizzano le stesse ‘tubature’ della rete. Noi non vogliamo chiudere nessun sito, vogliamo responsabilità”. Poi la minaccia: “Ogni 15 giorni il Pd presenterà dei rapporti ufficiali sulla rete di tutte le schifezze che trovia- mo”. I suoi sono ancora più espliciti: “Abbiamo i nomi e cognomi di quelli che usano gli stessi codici nell’advertising”. Dove porterà tutto questo, quali presunte prove produrrà, è tutto da vedere, ma la task force, guidata da Marco Carrai, che ieri era alla Leopolda in prima linea, va avanti da mesi e Andrea Stroppa, l’esperto di cyber security, che ha fabbricato il report ripreso dal New York Times dal quale Renzi è partito, è stato a Firenze in questi giorni per discutere con il segretario dei prossimi dossier (ma proprio ieri Carrai ne ha preso le distanze con una mail al Fatto: “Stroppa collaborava con me, ma da un anno non più”). E sull’i n c hi e st a Consip l’ex premier dice che “è una bolla di sapone”.
INTANTO, nell’ultimo giorno, la Leopolda è piena. Ci sono Lotti, Boschi, Richetti, Delrio, Pinotti, Fedeli, alcuni parlamentari. La tre giorni ha visto meno ministri e meno vip, quasi nessun guizzo, scelte diverse rispetto alle solite. Sul palco, giornaliste in odore di candidatura come Federica Angeli di Repubblica e Annalisa Chirico del Foglio, nemica giurata dei magistrati che in- dagano sui politici. Ma soprattutto sono intervenuti personaggi inediti: da Dario D’Ambrosi del teatro patologico (fa corsi di laurea per malati di mente) a Luigi Celeste, appena uscito dal carcere dove è stato per aver ucciso il padre in difesa della madre. Una scelta di ripiego per una kermesse che fu prima molto pop e poi sfoggio di potere. Ma anche la ricerca di nuove strade, nuova identità. Renzi è in difficoltà: l’elettorato grillino non è riuscito a intercettarlo, i moderati sono pronti a scegliere di nuovo Berlusconi, la sinistra tradizionale non l’ha mai ama- to. Ieri la promessa economica numero 1 resta ancora quella di estendere gli 80 euro alle famiglie con figli.
Il suo discorso, partito ancora dal referendum, è prima di tutto un’ammissione: “Il fallimento non è divertente. Ma una certa dose di fallimento è inevitabile”. Sembra quasi la leggerezza del perdente. Sotto le arcate, si sente dire: “In fondo, l’opposizione sarebbe una bella esperienza”. Sarà. O forse, anche questa è una strategia comunicativa. Alla fine, i selfie sul palco con i Millennials. La campagna elettorale stavolta è tutta in salita.
Guerra interna Obiettivo minimale: portare il Pd a essere il primo gruppo parlamentare