Città metropolitane, che flop
Sono 14 in tutta Italia, ma i consigli si riuniscono poco, hanno meno risorse degli etti che hanno sostituito e rischiano ciclicamente di finire in default
Negli scorsi anni l’abolizione delle Province sembrava a portata di mano. Il vecchio caposaldo dello stato monarchico era prossimo all’abolizione. Poi però, nel 2014, la fretta del Pd renziano di rivendicare il taglio di poltrone con annessa spending review ha partorito una riforma che ha istituito un ente, per ora, ancora meno utile: la Città Metropolitana, 14 in tutta Italia: Roma, Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Messina e Cagliari.
Il modello è quello della Greater London Authority , ma la versione italiana non si avvicina nemmeno lontanamente. I cittadini restano lontani, i sindaci del capoluogo guidano automaticamente l’ente, i Consigli Metropolitani sono eletti con una votazione riservata ai consiglieri comunali e sindaci. Spesso il sindaco è di un colore, la maggioranza di un altro e a volte genera convergenze bipartisan in nome della spartizione delle poche risorse. Non c’è diaria per l’incarico ma i risparmi sui costi della politica non ritornano in servizi.
Le Città Metropolitane hanno ereditato i bilanci in rosso delle Province, mantenendo intatte buona parte delle competenze su strade ed edifici scolastici. Una situazione fotografata lo scorso mese da un documento dell’Anci: “Nel complesso le Città Metropolitane (...) hanno subito tagli per quasi 1 miliardo tra il 2010 e il 2016”. Una diminuzione dei valori di spesa corrente che oscilla dal 39% al 60% che vede Bari e Reggio Calabria tra le più penalizzate. In più gli equilibri dei bilanci 2017 “sono ottenuti solo grazie all’applicazione di artifici contabili” e soprattutto “comprimendo l’attività istituzionale sulle funzioni fondamentali minime”.
Insomma, risorse limitate, funzioni politiche poco chiare e personale ridotto: dopo la riforma Delrio circa 16 mila dipendenti sono stati spostati ad altri enti. C’è poco da stupirsi se molti sindaci vivono l’ente quasi come un intralcio.
ROMA Otto riunioni per ripianare i debiti
Nella Capitale quest’anno il Consiglio Metropolitano si è riunito 8 volte, con 16 delle ultime 20 proposte di delibera dedicate al riconoscimento di vecchi debiti fuori bilancio. Come dire, un ente che copre 121 Comuni e 4,5 milioni di cittadini lavora essenzialmente per pagare fatture del passato, con i l macigno dell’acquisto nella nuova sede ancora da saldare. Nel 2007 la Provincia guidata da Enrico Gasbarra (Pd) procedette all’acquisto di una torre di quasi 60 mila metri quadri, all’epoca in costruzione, da trasformare in sede unica. Un’operazione da 263 milioni di euro da finanziare con la vendita di 11 immobili di pregio in centro storico per 237 milioni. Doveva occuparsene un fondo immobiliare ad hoc ma le dismissioni immobiliari stanno procedendo a rilento e lo scorso anno alla sua scadenza mancavano ancora 158 milioni. Così, una settimana prima del voto per le elezioni comunali, il fondo è stato prorogato fino al 2020 a condizione di pagare 70 milioni di rate in 5 anni. Un investimento avventato. Con la beffa che, nel frattempo, i dipendenti dell’ente nella nuova sede sono scesi a mille, distribuiti su trenta piani.
Visti i conti, Virginia Raggi, nelle rare occasioni in cui parla in veste di sindaco metropolitano, lo fa per denunciare che “il taglio dei trasferimenti è cresciuto da 20 milioni del 2011 ai 305 milioni di que- st’anno”. Una situazione che per la sindaca porta al taglio di “servizi ai cittadini principalmente su scuole e strade”.
MILANO Ogni anno si rischia il default
La Città metropolitana di Milano è ogni anno a rischio fallimento. Il 30 giugno 2017 ha rischiato il default, con un buco nel bilancio 2016 di 45 milioni coperti all’ultimo minuto. Quest’anno la situazione è ancora più grave. Lo squilibrio è di circa 70 milioni. I conti sono questi: oltre 1 miliardo di patrimonio, 250 milioni in media di cassa; 600 milioni di debito, metà in mutui e metà in derivati. Una situazione strutturale non disastrosa. Molti tagli alle spese sono già stati fatti, molti risparmi già conseguiti. Il personale è stato ridotto del 38% e oggi il suo costo è di 45 mi- lioni l’anno, circa il 10% delle spese. Il problema esplode nella partita tra entrate e uscite. Entrano ogni anno circa 400 milioni, per lo più quote delle imposte sui rifiuti e su assicurazioni e passaggi di proprietà auto, oltre alle multe per autovelox e infrazioni sulle strade provinciali. Le uscite sono invece di circa 310, costi per gestire strade, scuole, ambiente e per pagare il debito. Altri tagli non si possono più fare senza tagliare servizi. Il risultato sarebbe positivo, quest’anno di circa 80 mln.
Invece i conti saltano a causa della voce “contributo al bilancio dello Stato” che la Città metropolitana deve dare al governo: lo scorso anno 165 milioni. È questo contributo che fa alla fine chiudere i conti con un buco tra i 50 e i 70 milioni: uno squilibrio strutturale.
Lo Stato ha dato quest’anno a Milano 23 dei 112 milioni stanziati per tutte le Città metropolitane. Ma non bastano. Se lo Stato non risolve, l’ombra del fallimento si riproporrà ogni anno.
NAPOLI Larghe intese per tutti e finanziamenti allegri
Tutti insieme appassionata-
Riforma monca i Consigli eletti da sindaci e consiglieri comunali, sindaci di un colore, maggioranza di un altro Non c’è diaria, ma i risparmi sui costi della politica non ritornano in servizi
Da Nord a Sud Istituite dalla riforma Delrio nel 2014, si riuniscono di rado, hanno poche risorse, molti debiti e sono lontane dai cittadini che spesso ne ignorano anche l’esistenza A ROMA CI SI RIUNISCE PER RIPIANARE I DEBITI, MILANO OGNI ANNO RISCHIA IL DEFAULT, TORINO HA 316 COMUNI DA GESTIRE, A NAPOLI REGNANO LE LARGHE INTESE
mente invece alla Città Metropolitana di Napoli. Per assicurare stabilità politica il sindaco de Magistris, capo del movimento DemA, maggioranza a Palazzo San Giacomo ma minoranza in piazza Matteotti, ha stipulato un patto con Pd, Forza Italia e Ala. Distribuite deleghe a consiglieri renziani, berlusconiani e verdiniani dietro un tacito accordo: ognuno si coltiva il suo orticello di finanziamenti e piccoli interventi di manutenzione in strade e scuole del proprio collegio, e voto unanime per tirare avanti.
L’accordo portava con se un obiettivo e una speranza: uno staffista per ogni consigliere, nominato dal politico e pagato dall’ente. Il caso esplose a fine agosto quando venne resa pubblica una nota del direttore generale scritta “su indirizzo politico” del sindaco della Città Metropolitana, per 27 contratti a tempo determinato. Ma i primi freddi hanno congelato tutto: non ci sono i fondi. Per ora.
Dall’ammucchiata si è tenuto fuori l’unico consigliere M5s, Danilo Cascone, il solo a dissentire durante le discussioni di delibere approvate in tempi sempre più rapidi. Le ultime a metà novembre, contributi a pioggia a teatri napoletani e ad iniziative culturali come i 20.000 euro alla ‘Fondazione Premio Cimitile’, i 100.000 euro per la promozione delle eccellenze del Parco del Vesuvio, i 20.000 per buoni libro e attività didattiche ai figli dei dipendenti dell’ente e i 20.000 euro per contributi a rassegne musicali per “soggetti da individuare ”. Il totale dei contributi sfiora il milione , che però allontanano dalla mission della Città Metropolitana: scuole e strade, per l’appunto, dopo che la Regione Campania si è auto attribuita la competenza esclusiva su cultura, caccia e pesca, sport e turismo. “Paradossale – afferma Cascone – che si finanzi con 15.000 euro un convegno della Federico II sulle tecniche di costruzione antisismica mentre 300 istituti scolastici attendono di essere adeguati alle norme di sicurezza”.
Il collegio dei revisori dei conti aveva dato parere sfavorevole a una erogazione di risorse “attribuita in modo generico a favore di enti non definiti e per finalità non individ ua te ” in mancanza di “un rapporto causa- effetto tra l’investimento e la finalità che si intende ottenere e i vantag- gi che ne possono derivare”. Ma è bastata una piccola modifica e la variazione di bilancio è passata con l’ok, sia pure critico, dell’organo di controllo.
Peraltro, la Città Metropo- litana non se la passa male sotto il profilo finanziario, grazie a un avanzo di 400 milioni ereditato dalla disciolta Provincia e che rende relativamente stabile il bilancio 2017. Ma la situazione economica resta difficile e pochi giorni fa è partita una letterina alla Regione con l’intenzione di vendere all’ente del Governatore Pd Vincenzo De Luca la propria quota dei 420 ettari di bosco del Monte Faito dove sono collocati i ripetitori radiotelevisivi e un complesso immobiliare: “Non ce la facciamo a gestire quell’area, vorremmo in cambio l’equivalente di 2 milioni e mezzo circa di immobili regionali”, la sintesi della missiva. È la metà della spesa complessiva dell’acquisto fatto nel 2007 dalla Fintecna.
Allora la vituperata Provincia di Napoli esisteva ancora, e aveva il portafoglio gonfio.
TORINO 316 comuni senza una vera maggioranza
Non va meglio a Torino, dove la “metropoli” arriva fino alle Alpi, ai confini con la Francia e conta 316 Comuni, tremila km di strade e 170 istituti superiori da mantenere. A guidare l’ente la sindaca Appendino, iconsigliere M5s di Chivasso Marco Marocco è il suo vice: “A livello politico questo è un laboratorio – premette –. C’è una minoranza di governo e una maggioranza all’opposizione”.
I 5S guidano quattro comuni, governano perché controllano il capoluogo, mentre nel consiglio ci sono otto grillini, otto del centrosinistra e tre del centrodestra: “È un equilibrio a fasi alterne – dice Alberto Avetta, ex presidente della Provincia –. I Cinque stelle praticano la politica dei due forni”. Si cerca di non buttarla sulla lotta partitica, risponde Marocco: “Gli amministratori locali, nostri elettori, vogliono risposte nel merito”. L’equilibrio è nato circa un anno fa: Appendino doveva approvare il bilancio preventivo e il documento di programmazione, ma gli eletti Pd si sono astenuti: “Se nei prossimi cinque anni vogliono affrontare i problemi del territorio, hanno il dovere di condividere le scelte”, così Avetta e Vincenzo Barrea ammonivano i pentastellati. Lezione imparata in fretta, anche perché il compito è duro, soprattutto dopo la riforma Delrio e i tagli: “Il personale doveva scendere del 30%, il calo reale è del 40: dai 1.800 a 987”. Ciò permette di risparmiare e di spostare i lavoratori in un’unica sede liberando quella storica a Pa- lazzo Cisterna che potrebbe essere affittata. Alcuni immobili sono già stati alienati per diminuire i debiti: “Non vorremmo vendere i gioielli di famiglia, ma se non quadrano i bilanci dobbiamo – continua il vicesindaco metropolitano –.
Senza trasferimenti e entrate forti non possiamo programmare e spendiamo ogni mese un dodicesimo di quanto speso l’anno precedente”. Che la riforma non sia perfetta lo pensa anche Avetta, ma chiede più coraggio: “Non si parla più di pianificazione, manca una visione e la sinergia coi territori. La Città metropolitana ha un avanzo importante, può spendere, bisogna fare gli amministratori, non i burocrati”.