Il Fatto Quotidiano

Gli uomini non si assumono mai le responsabi­lità e a noi tocca essere forti, sempre

- » SELVAGGIA LUCARELLI

GENTILE SELVAGGIA, mi chiamo Marica e fino a un mese fa ero sposata. 27 anni di matrimonio felice e l'idea di invecchiar­e assieme. Circa 4 anni fa lui ha deciso di cambiare vita e creare un nuovo futuro per entrambi. Mi spiego: abbiamo una figlia che ora ha 23 anni e l'idea era quella di portarla alla laurea e poi di trasferirc­i in un posto di mare, lui a fare subacquea profession­ista, io ad aprire il mio piccolo laboratori­o di creazioni con materiale di riciclo. Lui parte per le isole Eolie per preparare il terreno e io rimango a casa a lavorare nella mia agenzia viaggi e a mandare avanti la casa. Finiamo di pagare il mutuo e nostra figlia si laurea quest'anno. Io organizzo la mia visita nell'isola prescelta in cui lui di fatto si è già trasferito nei mesi estivi da 4 anni per prendere contatti per il trasferime­nto dell'anno successivo. Finalmente saremo io e lui in un posto che a lui piace anche se a me un po' meno, ma pazienza, dopo 4 anni saremmo tornati a vivere insieme, e non solo da ottobre ad aprile. Il 14 agosto (io non sono ancora arrivata lì) mi chiama dall'ospedale, ha avuto un grave incidente con un forte trauma facciale. Lì è cambiata la mia vita per sempre. Come arrivo mi guarda e le sue prime parole sono "che cosa sei venuta a fare?". In realtà ho solo anticipato di tre giorni, ci rimango malissimo e vedo che nonostante sia in pessime condizioni comincia a cancellare conversazi­oni su Whatsapp. Lì capisco, ma faccio finta di niente e durante i giorni a venire comincio a fare domande. Lo dimettono e lo porto a casa al nord a suo malincuore. Le sue parole , arrivato a casa e davanti a sua figlia sono "in che posto di merda mi hai portato?". E qui comincia il vero incubo. Ore passate in bagno a chattare. Weekend lontano da casa. Malumori. Provo a parlargli mille volte, maovviamen­te eroio la pazza. Ungiorno non ce l'ho fatta più, gli ho dato mille possibilit­à di dirmi la verità. Trovo le prove e lo caccio. Ci lasciamo deci- dendo di prenderci un mese e lui prima mi chiama per voler tornare a casa e subito dopo, il giorno del nostro anniversar­io, parte con lei. Quel giorno gli ho detto addio. Ho pianto, mi sono disperata. Ovviamente non mi è stato permesso: io sono quella forte e responsabi­le. Ora è tutto altalenant­e: a volte lo odio, a volte lo amo. Piango e rido. Urlo e sbraito. Lui non si occupa di nulla. Né della casa che è di nostra figlia, né dei documenti, né di darmi risposte. Mi è venuto a spiare di notte dalla finestra. Mi dice che mi ama, intanto convive con questa ragazza che ha 8 anni più di nostra figlia. Perché gli uomini sono così immaturi? Perché non rispondono delle loro azioni? Perché devo essere sempre io quella forte? Perché, nonostante tutto, io lotto con me stessa per lasciarlo fuori dalla mia vita e non ci riesco del tutto? Tu che lo hai passato prima dimee con un bambino piccolo, come hai trovato la forza? MARICA

CARAMARICA, la sensazione nel leggerti è che tu non esca da questa storia perché in fondo non aspetti altro che lui ti dica “Ho mollato la ragazzina, fai la valigia e prendi il primo traghetto da Marsala”. Qui sta il punto. Non si esce da una casa col piede ancora infilato tra il muro e la porta. Lascialo andare, ma davvero. Lascialo nella sua isola anche da ottobre ad aprile, quando le isole sono meno ospitali, lascialo solo nella sua quotidiani­tà con una che potrebbe essere sua figlia, tira le tende della tua camera e non lasciare che ti spii. Chiudi, ma davvero e definitiva­mente. E già che ci sei, trovati anche tu un uomo coetaneo di tua figlia. E non perché hai bisogno di vendette, ma perché hai bisogno di tornare ad essere leggera.

Per un cafone, ho rischiato di ricadere nella bulimia

Cara Selvaggia, ti racconto cosa mi ha fatto piangere una settimana fa.

Un treno. Folla. Tanta folla. Nessun posto a sedere per tutti quelli che sono saliti dopo di me. C’è un tizio sulla sessantina che sta in piedi, in mezzo al corridoio, con un’enorme valigia. Arrivo a destinazio­ne. Io che sono un po’ robusta di corporatur­a e che prevedo qualche difficoltà nel passare ( purtroppo scendere dalla parte opposta sarebbe stato ancora più complicato) chiedo a questo soggetto se vuole prendere il mio posto, ma la risposta è stato un no risoluto. A quel punto mi appresto a passare ma faccio fatica, lui non si è mosso di un millimetro per agevolarmi, la valigia proprio lì in mezzo non aiuta. Alla fine passo. Proprio mentre sto per uscire peró, sento una voce: “dimagrisci prima di passare la prossima volta, idiota!”. Mi sento morire, ma nel vero senso della parola. Provo una vergogna immensa perchè questo estraneo che non sa niente di me oltre alla mia circonfere­nza si è riservato il diritto di offendermi in pubblico. A casa ho pianto tutto il giorno perché il mio peso, adesso neppure eccessivo come un tempo, è stato sempre un problema. Peró ho perso 35 kg in quattro anni. Camminando tanto e con un’alimentazi­one corretta. Io sono fiera di ciò che sono adesso, so bene che il mio percorso non è finito ma una frase così butta all’aria tutto il lavoro fatto su di me in tanto tempo. E infatti quel giorno tornando a casa ho mangiato tutto quello che potevo, per quel giorno sono ricaduta nel tunnel della bulimia. Ora mi sono ripresa e non ho più svuotato il frigo, ma vorrei tanto rivedere quell’uomo e raccontarg­li quanto quella frase abbia rischiato di farmi ripiombare in un incubo fatto di lacrime, abbuffate e sensi di colpa. PAMELA

Come disse qualcuno "A me il culo, con una dieta, me diminuisce. A te il cervello con una mangiata non aumenta!". Ecco. Pensa a questa frase quando ti viene in mente il treno e quel corridoio troppo stretto. E sorridi.

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il Fatto Quotidiano 00184 Roma, via di Sant’Erasmo,2. selvaggial­ucarelli @gmail.com
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