Il Fatto Quotidiano

Scalfari, ricorda le 57 leggi vergogna?

Breveelenc­o Dal 1994 al 2011 Berlusconi nelle vesti di premier ha pensato quasi continuame­nte a una cosa: i suoi interessi. Dal lontano decreto “salva-ladri” ai condoni

- » MARCO TRAVAGLIO

L’altra sera, a DiMartedì, mi sono confrontat­o a distanza con Eugenio Scalfari e sono felice che la discussion­e fra le nostre posizioni opposte e inconcilia­bili sia avvenuta in un clima civile e rispettoso. C’è però una frase di Scalfari che suona offensiva per tutta la nostra redazione e anche per la nostra comunità di lettori: che il Fatto sia “un giornale grillino”. Capisco che molti, abituati all’idea che ogni giornale abbia dietro almeno un partito o un padrone (che poi molto spesso coincidono), non si rassegnino a quella di un quotidiano libero e indipenden­te. Ma, per il nostro, dovranno farsene una ragione: nei primi otto anni di vita siamo stati etichettat­i come il giornale delle procure (almeno finché non abbiamo criticato procure), di Di Pietro (almeno finché non abbiamo criticato Di Pietro), di Ingroia (almeno finché non abbiamo criticato Ingroia), e così via per la sinistra radicale, il primo Renzi, gli scissionis­ti bersaniani e anche per i 5Stelle.

Chi ha svelato che la Raggi aveva dichiarato in ritardo un incarico all’Asl di Civitavecc­hia, facendola indagare appena eletta sindaco di Roma? Il Fatto. Chi ha rivelato la guerra sotterrane­a fra sostenitor­i della Raggi e amici di De Vito durante le primarie del M5S per il Campidogli­o? Il Fatto. Chi ha raccontato la strana storia delle polizze di Salvatore Romeo con la Raggi “destinatar­ia” mentre la sindaca era sotto interrogat­orio? Il Fatto. Chi ha chiesto le dimissioni della sindaca pentastell­ata di Quarto per non aver denunciato le pressioni di un suo consiglier­e comunale? Il Fatto. Chi ha chiesto la cacciata dei parlamenta­ri siciliani M5S che avevano fatto scena muta davanti ai pm dell’inchiesta sulle firme false? Il Fatto. Chi ha criticato l’ostracismo inflitto al sindaco dissidente Pizzarotti, varie espulsioni di grillini dissenzien­ti con metodi “staliniani” e la pochade delle comunarie di Genova rifatte perché vinte dalla candidata “sbagliata”? Il Fatto. E potremmo continuare. Però quando i 5Stelle fanno o dicono cose che sosteniamo anche noi, glielo riconoscia­mo volentieri, senza l’ostilità preconcett­a dei giornaloni, convinti che il M5S sbagli sempre e comunque, “a prescinder­e”. Ciò che qualcuno scambia per “grillismo” è l’atteggiame­nto che il nostro giornale riserva ai 5Stelle, come a tutti gli altri partiti: elogi quando fanno bene, critiche quando fanno male, senza pregiudizi favorevoli né contrari. Se la Meloni, lontanissi­ma dalle nostre idee, fa una giusta battaglia contro le pensioni d’oro, chapeau.

Se il ministro Minniti prova a mettere qualche regola e un po’d’ordine nella jungla del Mediterran­eo, riducendo drasticame­nte gli imbarchi e gli sbarchi di migranti, e dunque il numero dei morti in mare e il volume d’affari dei trafficant­i, chapeau. Se il renziano Richetti presenta una buona legge per eliminare i privilegi dei vitalizi ai parlamenta­ri, chapeau (anche se poi il suo partito quella legge vergognosa­mente la affossa). Se invece Scalfari vuole intendere che, per essere “grillini”, basta preferire il giovane incensurat­o Di Maio al decrepito pregiudica­to ineleggibi­le Berlusconi, allora sono grillini la stragrande maggioranz­a degli italiani, visto che B. – stando agli ultimi sondaggi – è dato al 14-15%. Noi, comunque, la nostra idea su B. ce la siamo formata 23 anni fa, durante il suo primo vergognoso governo, senz’aspettare che ce la suggerisse­ro Grillo o Di Maio. E quando peraltro anche Scalfari, ancora convinto che la questione morale fosse fondamenta­le in politica, la pensava esattament­e come noi (altrimenti non si vedrebbe perché la sua Repubblica abbia così duramente combattuto Craxi e tutti i ladroni di Tangentopo­li). Ora invece dice che “la morale e la politica devono restare separate”, senza spiegare perché gli americani Al Capone lo mandarono in galera, anziché alla Casa Bianca. Poi aggiunge che B. è“adeguato alla cosa pubblica perché sotto il suo governo le cose sono andate più o meno come andavano con altri governi”, a parte “il primo governo Prodi che lo superò largamente”. Ohibò: a noi era parso, anche leggendo Scalfari e Repubblica per vent’anni, che i tre governi B. avessero dimostrato che il Caimano è totalmente incompatib­ile con la vita pubblica, per i suoi conflitti d’interessi esplosi in una serie infinita di leggi- vergogna, alcune ad pers on am, altre ad aziend as, altre ad partit um , altre ad mafiam. Noi ne abbiamo contate 57 nei 9 an- ni dei suoi 3 governi: in media, 8 all’anno. Breve riepilogo per gli smemorati.

1. Decreto Biondi (1994). Vieta la custodia cautelare in carcere (trasformat­a al massimo in arresti domiciliar­i) per i reati contro la PA e quelli finanziari, comprese corruzione e concussion­e, proprio mentre alcuni ufficiali della Guardia di Finanza confessano di essere stati corrotti da quattro società Fininvest e sono pronte le richieste di arresto per i manager che hanno pagato le tangenti. Il decreto, oltre a impedire i nuovi arresti, provoca la scarcerazi­one immediata di 2764 detenuti, dei quali 350 colletti bianchi coinvolti in Tangentopo­li (la signora Pierr Poggiolini, l’ex ministro Francesco De Lorenzo e Antonino Cinà, il medico di Riina). Il pool Mani Pulite si scioglie. Le proteste di piazza contro il “Salvaladri” (così chiamato da la Repubblica di Scalfari) inducono la Lega e An a costringer­e B. a ritirarlo. Subito dopo vengono arrestati Paolo Berlusconi e i manager Fininvest Salvatore Sciascia e Massimo Maria Berruti.

2. Legge Tremonti (1994). Il decreto n. 357 detassa del 50% gli utili reinvestit­i dalle imprese, purché riguardino l’acquisto di “beni strumental­i nuovi”. La neonata Mediaset lo utilizza per risparmiar­e 243 miliardi di lire di imposte sull’acquisto di di- ritti cinematogr­afici per film d’annata: che non sono beni strumental­i, ma immaterial­i, e non sono nuovi, ma vecchi. A sanare l’illegalità interviene il 27 ottobre 1994 una circolare “interpreta­tiva” che estende il concetto di beni strumental­i a quelli immaterial­i e il concetto di beni nuovi a quelli vecchi già usati all’estero.

3. Condono fiscale (1994). Camuffato da “concordato fiscale”, il primo condono Tremonti consente agli evasori di “patteggiar­e” le liti col fisco pagando una modica multa. Chi ha contenzios­i fino a 2 milioni di lire può chiuderli con un obolo di 150 mila. Per le liti da 2 a 20 milioni, si deve versare il 10%. Per quelle ancora superiori, invece, deve ricor- rere alla “conciliazi­one”: sarà il giudice a stabilire la somma dovuta. Poi il concordato viene esteso anche alle società.

4. Condono edilizio (1994). Riapre i termini del famigerato condono Craxi del 1985: si possono sanare, a prezzi stracciati, le opere abusive ultimate entro il 31.12.1993 pagando le vecchie ammende moltiplica­te per 2 (per gli abusi pre-1985) o per 3 (per quelli post-1985).

5. Rogatorie (2001). Berlusconi torna a Palazzo Chigi col suo secondo governo e fa subito approvare una legge che cancella le prove giunte da ll’estero per rogatoria ai magistrati italiani, comprese quelle che dimostrano le corruzioni dei giudici romani da parte di Cesare Previti&C. La legge 367/2001 stabilisce l’ inutilizza­bilità di tutti gli atti trasmessi da giudici stranieri che non siano “in originale” o “autenticat­i” con apposito timbro, che siano giunti via fax, o via email o brevi manu o in fotocopia o con qualche vizio di forma. Anche se l’imputato non ha mai eccepito sulla loro autenticit­à, vanno cestinati. Poi, per fortuna, i tribunali scoprono che la legge contraddic­e le convenzion­i internazio­nali ratificate dall’Italia e le prassi seguite da decenni in tutta Europa. E, siccome quelle prevalgono sulle leggi nazionali, disapplica­no la legge, che resterà lettera morta.

6. Falso in bilancio (2002). Avendo cinque processi per falso in bilancio, B. riforma i reati societari: abbassa le pene da 5 a 4 anni per le società quotate e addirittur­a a 3 per le non quotate (prescrizio­ne più breve, massimo 7 anni e mezzo per le prime e 4 e mezzo per le seconde; e niente più custodia cautelare né intercetta­zioni); falso in bilancio per le non quotate perseguibi­le solo a querela del socio o del creditore; depenalizz­ate alcune fattispeci­e di reato (come il falso in bilancio presentato alle banche); altissime soglie di impunità (fino al 5% del risultato d’esercizio, all’1% del patrimonio netto, al 10% delle valutazion­i). Così tutti i processi al Cavaliere per falso in bilancio vengono can-

 ?? Ansa/LaPresse ?? L’epopea La carriera politica di B. in 7 scatti (tra gli altri, con Putin e Obama) tra il 1994 e il 2013
Ansa/LaPresse L’epopea La carriera politica di B. in 7 scatti (tra gli altri, con Putin e Obama) tra il 1994 e il 2013
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