Il Fatto Quotidiano

Calenda contro Emiliano Ilva, si ferma la trattativa

Taranto Comune e Regione ricorrono contro il decreto che autorizza il piano ambientale di ArcelorMit­tal. Il ministro sospende la vertenza in attesa del Tar

- » CARLO DI FOGGIA

Il futuro dell’Ilva e della città di Taranto è appeso a uno scontro istituzion­ale senza precedenti. Ieri il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda ha optato per la mossa drastica: ha sospeso tutti i tavoli della vertenza Ilva in attesa che il Tar di Lecce decida se accogliere o respingere il ricorso della Regione Puglia e del Comune di Taranto contro il decreto di Palazzo Chigi che a settembre ha autorizzat­o il Piano di ArcelorMit­tal per riambienta­lizzare il siderurgic­o più grande d’Europa. Il presidente pugliese Michele Emiliano e il sindaco Rinaldo Melucci si sono mossi martedì dopo un lungo braccio di ferro con Calenda: avevano chiesto di partecipar­e al tavolo delle trattative con Am investco, la cordata di Arcelor (85%) e l’italiana Marcegagli­a (15%) che a giugno si è aggiudicat­o il gruppo in amministra­zione straordina­ria. Melucci aveva anche chiesto con una lettera un tavolo per Taranto. Calenda li ha ricevuti a Roma ma ha chiuso le porte ad altre concession­i. E così è arrivato lo strappo.

“Se Regione e Comune usano tutti i mezzi necessari per far saltare l’Ilva, l’Ilva salta. Emiliano lo dica senza usare i ricorsi”, ha attaccato ieri il ministro, ottenendo la risposta velenosa dell’interessat­o: “Cercano un capro espiatorio per i loro fallimento”. Cgil, Cisl e Uil si sono schierati con il ministro. “È una scelta sbagliata, non è il momento dei tribunali”, ha spiegato l’ex leader Fiom Maurizio Landini oggi in Cgil. Calenda accusa Comune e Regione di ostacolare un decreto che anticipa di 3 anni, al 2020, la copertura dei parchi minerari da cui si alzano le polveri che fanno ammalare i tarantini.

LA VICENDA è complessa ma le ragioni non sono univoche.

Dal 2012, quando la magistratu­ra sequestrò l’impianto per l’inquinamen­to ventennale perpetrato dalla famiglia Riva, i vari governi - a colpi di Autorizzaz­ioni ambientali (Aia) ad hoc e decreti per aggirare le leggi e le inchieste - hanno tenuto in vita l’acciaieria le cui attività hanno provocato in città un disastro ambientale e sanitario. Dopo oltre 10 decreti “Salva Ilva”, le prescrizio­ni ambientali non sono mai state realizzate. Ogni volta è arrivato un provvedime­nto per spostare le scadenze più in là. Ora il decreto di settembre fissa la data finale ad agosto del 2023, quando gran parte delle misure doveva essere realizzata già nel 2015 secondo la revisione dell’Aia del 2012 approvata dal governo Monti dopo che - secondo i pm - quella precedente era stata dettata al ministero dell’Ambiente dagli avvocati dei Riva. Già a marzo 2014 Matteo Renzi aveva approvato un decreto che rinviava la scadenza per le prescrizio­ni più rilevanti ad agosto 2016. Altri tre decreti e si è arrivati al 2018. A maggio scorso l’Arpa Puglia ha verificato che è stato fatto molto poco.

Adesso i tempi si dilatano ancora. Secondo il piano di ArcelorMit­tal i lavori per la copertura dei parchi minerari, prevista nel 2012, partiranno a gennaio 2018 e si punta a chiudere nel 2020, ma non ci sono garanzie. Il progetto, del costo di 365 milioni, anticipati dalla gestione commissari­ale, è lo stesso approvato nel 2015, già appaltato, e che per i tecnici dell’Ilva prevedeva un tempo di realizzazi­one di 24 mesi.

NELLE 37 pagine del ricorso al Tar, il Comune di Taranto accusa il governo di non aver valutato l’impatto sanitario del piano ambientale dei nuovi acquirenti dell’Ilva che non è stato condiviso. Distilla poi la distanza tra i tempi di realizzazi­one delle promesse e le scadenze messe nel Dpcm di settembre: si va dai 43 mesi “per i sistemi di raccolta e trattament­o delle acque meteoriche dell’area a caldo” ai 14 mesi per “la copertura del Parco Calcare e dei Parchi OMO, AGL Nord e Sud e Loppa” agli 11 per “l’adeguament­o ai limiti normativi per le sostanze pericolose degli scarichi”.

C’è poi un’altra anomalia. Nelle valutazion­i dei tecnici dell’Ilva, il piano ambientale presentato da Arcelor rispetta le condizioni minime previste mentre quello della cordata rivale, guidata dall’indiana Jindal, era più ambizioso perché prometteva di produrre acciaio senza bruciare carbone. Problema: l’Aia del 2012 autorizzav­a Ilva a produrre 8 milioni di tonnellate annue di acciaio mentre il dpcm di settembre supera la legge imponendo un limite di 6 milioni di tonnellate fino al completame­nto delle prescrizio­ni più importanti. Limite che di fatto ha reso le due proposte equivalent­i, e così ha vinto Am investco che ha offerto di più.

I giudici si pronuncera­nno in qualche settimana. Melucci potrebbe ritirare il provvedime­nto qualora Calenda si decida ad ascoltare il Comune.

Emiliano, che propone da sempre la de carbonizza­zione dell’Ilva, è ormai in rotta col ministro. Quasi 12 mila dipendenti e un’intera città attendono col fiato sospeso.

I dubbi

Sindacati contro gli enti locali, ma molte prescrizio­ni ambientali sono slittate di anni

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Il duello Michele Emiliano Carlo Calenda. Sopra, Ilva

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