A un anno dal No: le fake news sono sempre quelle altrui
Nonostante il Corriere della Sera, secondo Il Foglio, sia sull’orlo di diventare l’house organ dei Cinque Stelle (chissà perché vediamo negli altri sempre i nostri difetti) con sprezzo del pericolo abbiamo deciso di leggere comunque quel sovversivo agit-prop che è Nando Pagnoncelli. Il quale ha realizzato un sondaggio, a un anno dal referendum costituzionale, per capire quale sarebbe il risultato se si votasse ora, pubblicato sul Corriere di martedì. “Spesso ci si chiede se tra gli elettori prevalga il rimpianto per l’occasione perduta o, al contrario, la convinzione che la bocciatura sia stata la scelta migliore. Il sondaggio odierno fa registrare uno scenario immutato rispetto al 4 dicembre dello scorso anno: l’affluenza alle urne sarebbe di poco inferiore (65% contro il 68% effettivo), i contrari prevarrebbero nettamente attestandosi a 61% (contro il 59,1% di 12 mesi fa)”. Due punti in più guadagnati dal No: diciamo che Renzi ne ha convinti altri, pur essendo il tema delle riforme sparito dall’agenda (e non essendo più lui l’inquilino di Palazzo Chigi). Mitico.
ORA, COME IL LETTOREavrà notato, in queste settimane si fa un gran parlare di fake news, che inquinano il dibattito democratico, mettono a rischio la tenuta del Paese e si teme possano condizionare le elezioni politiche di primavera. Oibò. Ed è qui che torniamo all’ultimo grande appuntamento elettorale, cioè il referendum del 4 dicembre di cui sopra. Ecco, durante quella campagna, le fake news si sono sprecate. “La riforma costituzionale darà al Sud gli stessi livelli di cura del Nord: se c’è un farmaco sull’epatite C, perché in Lombardia ci si mette tre mesi per liberarlo e in altre Regioni tre anni? Perché i sistemi sono diversi, con la riforma cambia il Titolo V e il livello di assistenza sarà uguale in Lombardia e in Calabria” (Matteo Renzi il 27 novembre 2016; Maria Elena Boschi aveva già tirato in ballo i malati di cancro). L’uguale trattamento, come scrivemmo ai tempi, è già previsto grazie all’articolo 120 della Costituzione e dai Livelli essenziali d’assistenza (Lea), cioè gli standard di cura nazionali (dal 2003). Il problema, casomai, è la sproporzione di risorse finanziarie e organizzative, che la riforma non toccava. “La riforma comporta risparmi per un miliardo l’anno”, disse Matteo Renzi nell’aprile 2014, salvo poi correggere il tiro due anni più tardi: “Farà risparmiare 500 milioni” (novembre 2016). Secondo la Ragioneria generale non si arrivava a 60 milioni, ma non è più un problema. E poi il Pil: “Il Pil crescerà di sei punti in più (10 miliardi) in un decennio”, spiegò l’8 giugno 2016 la ministra per le Riforme parlando dei mirabolanti effetti della vittoria del Sì. E se sciaguratamente avesse vinto il No? A giugno 2016 il Centro studi di Confindustria diffuse le previsioni sull’andamento dell’economia. Una sezione era dedicata allo “Scenario post-referendum: le conseguenze economiche del No”, evocando “un’inevitabile nuova recessione” tra il 2017 e il 2019. Il “caos politico” – diceva il report – “trascinerebbe il Pil all’inferno, 4 punti percentuali in meno nel triennio sullo scenario di base. Salterebbero 600 mila posti di lavoro e 20 punti percentuali di investimenti”. Ma non è finita: il cambio dell’euro avrebbe potuto svalutarsi, si sarebbero verificati effetti negativi sulla ricchezza delle famiglie e sui consumi, guai anche per le aste dei titoli del Tesoro. Il Financial Times, aveva previsto con la vittoria del No, l’uscita dell’Italia dall’euro e il default di otto banche. È noto che siamo ancora nell’euro e che l’Ocse ha recentemente rivisto le stime di crescita dell’Italia al rialzo (portandole a +1,6% per il 2017 e a +1,5% per il 2018). Come si sarà capito da questa breve rassegna, le fake news sono sempre quelle degli altri.