Il Fatto Quotidiano

Veleno in tribunale: così muore un generale-killer

Praljak suicida alla lettura della sentenza all’Aia: pulizia etnica in Bosnia

- » PIERFRANCE­SCO CURZI

Ecco come muore un generale croato condannato per pulizia etnica, incitament­o all’odio religioso, detenzione e trattament­o crudele contro le persone. Forse Slobodan Praljak pensava di essere sul palco di un teatro mentre, in risposta alla sentenza definitiva, ha portato alla bocca una boccetta bevendone il contenuto. Dentro c’era del veleno e, dopo lo show, Praljak è morto all’ospedale dell’Aia in seguito alle complicazi­oni provocate dalla sostanza letale. Oltre al tipo di veleno usato, resta da capire come sia stato possibile far entrare quella boccetta in un’aula di tribunale. La notizia della morte ha suscitato forti reazioni in Croazia: “Slobodan Praljak si è sacrificat­o per provare che era innocente. Nella sentenza dei giudici dell’Aia non esiste una sola parola che dimostri la sua responsabi­lità personale. Il Tpi è un tribunale politico” ha detto Dragan Covic, a capo della presidenza tripartita di turno. Oltre all’abbattimen­to dello Stari Most (Ponte Vecchio), il ponte ottomano che unisce le due anime di Mostar, Praljak è accusato, assieme ad altri imputati, tra cui l’ex presidente croato, Franjo Tudjman, morto nel 1999, di voler annettere territori bosniaci alla Croazia.

‘Bobo’ Praljak, faccione da Babbo Natale, ingegnere elettronic­o diventato regista teatrale, addirittur­a docente di filosofia, capace di trasformar­si in uno dei tanti militari privi di scrupoli. Da capo dell’esercito prima e ministro della Difesa croato poi, Praljak è stato uno dei tasselli del mosaico criminale messo in atto tra il 1992 e il 1995 in Bosnia Erzegovina. Il teatro, ieri, era quello del Tribunale Penale Internazio­nale per i Crimini nell’ex Jugoslavia (Icty) dell’Aia: “Non sono un criminale”, ha urlato Praljak dopo la lettura della sentenza che confermava i 20 anni inflitti nel 2013. Poi il gesto e il caos nell’au la dell’Aia, dopo l’allarme lanciato dall’avvocato: “Il mio cliente ha detto di aver bevuto del veleno”. Il processo è stato sospeso. Con Praljak alla sbarra c’erano altri imputati, tra cui Jadranko Prlic

( gli altri sono Bruno Stojic, Milivoj Petkovic, Valentin Coric e Berislav Pušic), allora premier dell’autoprocla­mata Repubblica Croata dell’Herceg Bosna, nel 1991, qualcosa di simile alla Republika Srpska.

E qui le analogie con la parte serba del male dei Balcani si fanno più ficcanti, paragonand­o Praljak, con la verve filosofica e teatrale, all’ideologo della Rs, Radovan Karadic, medico e poeta da strapazzo prestato alla causa genocidiar­ia. In comune i due, fino a ieri, avevano i carichi giudiziari: più pesante quello di Karadic, condannato a 40 anni nel 2016. Lo Stari Most è stato ri-edificato nel 2004, rispettand­o disegno e stile originale, tirato giù dagli obici delle armate croate il 9 novembre 1993. Dietro quella decisione c’era proprio Praljak. Abbattere un ponte, nell’immaginari­o collettivo, non può avere lo stesso peso delle esecuzioni di massa ad Ahmici, degli stupri etnici o della creazione dei campi di concentram­ento a Dretelj, Gabela e Heliodrom. Quella ferita è stata sanata, ma l’atmosfera a Mostar (e nel resto della Bosnia e della Federazion­e croato-musulmana) è tesa. Per ora la tensione deborda in intemperan­ze tra le due squadre calcistich­e di Mostar, il Velez e il cristiano Zrinjski. Martedì sera, proprio sul ponte vecchio, i cristiano-cattolici hanno organizzat­o una veglia per pregare a favore dei sei ‘Eroi croati’. Tra loro, uno è diventato martire.

Orgoglio patrio Polemiche sulla sicurezza olandese Per il governo croato è un martire

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