Il Fatto Quotidiano

“Il provino” Le molestie ai tempi di Moravia

A Roma per sedurre ci si fingeva registi

- » ALBERTO MORAVIA

SPubblichi­amo per gentile concession­e dell’As s oc i az i on e Fondo Alberto Moravia uno dei “Racconti Romani” uscito nel 1954 e tuttora rappresent­ativo del “sistema Weinstein” in Italia fin da quegli anni. erafino e io siamo amici sebbene il lavoro ci abbia portato lontani l’uno dall’altro: lui è autista di un industrial­e e io operatore e fotografo. (…) Ma la vera differenza sta nel carattere: Serafino è un bugiardo e io invece le bugie non le so dire. Basta, una di queste domeniche Serafino mi fece sapere che aveva bisogno di me: dal tono indovinai qualche pasticcio (...). Andai all’appuntamen­to, in un caffè di piazza Colonna; e di lì a poco, eccolo arrivare con la prima bugia: la macchina fuori serie, di gran lusso, del padrone che sapevo assente da Roma. (...) Lo guardai mentre mi veniva incontro: era vestito da paino (…) “E la macchina? Hai vinto al totocalcio?”.“È la macchina nuova del principale”, rispose lui con indifferen­za (...) “Senti, Mario, tra poco verranno due signorine... come vedi ho pensato anche a te... una per uno... sono ragazze di buona famiglia, figlie di un ingegnere delle ferrovie... tu sei un produttore cinematogr­afico... siamo intesi... non mi tradire”. (...)

NON DISSI NULLA e mi levai in piedi. “Che fai... te ne vai?” disse lui allarmato. “Sì, me ne vado”, risposi, “lo sai che le bugie non mi piacciono... arrivederc­i e divertiti.” (...) “Aspetta, quelle ragazze vogliono conoscerti”.“Io, no, invece”. (…) Finalmente, siccome sono un buon amico, accettai di rimanere. (...) “Eccole”. (...) Di persona, erano ambedue snelle e ondeggiant­i, tutte fianco e petto, con certe vitine di vespa da farle passare dentro un portatovag­liolo. (…)“Il mio amico Mario, produttore, la signorina, Iris, la signorina Mimosa”. (...) Dalla premura che le dimostrava, capii che Serafino si era riserbato Iris, lasciandom­i Mimosa. (…) Notai pure che avevano tutte e due le mani rosse e screpolate, piuttosto da operaie che da signorine. (…) “Signor Mario, lei è un produttore... Serafino ci ha detto che lei vuole farci un provino. (...) Dissi: “Vede, signorina... il provino è come un piccolo film, non è cosa che si improvvisa... ci vogliono un regista, un operatore, un teatro di posa... Serafino non se ne inten- de... magari uno di questi giorni. ..” “Uno di questi giorni vuol dire mai”. (...) “Via, sia buono, ci faccia un provino.” Adesso era diventata tutta scivolosa, mi aveva preso per un braccio, si stringeva contro di me. (...) cercai di spiegarle di nuovo che un provino non si poteva fare così, su due piedi. Pian piano, comprese anche lei, finalmente; e allentò la stretta del braccio. Poi disse alla sorella, che parlottava con Serafino: “Te l’avevo detto che erano tutte storie... beh, che facciamo? ce ne andiamo a casa?” Iris, che non se l’aspettava, rimase male. Disse, con impaccio: “Potremmo restare con loro... fino a stasera.” (…) Così tutta la mia spiegazion­e non era servita a nulla: voleva il provino. (...) “Dove andiamo?” domandò Serafino. Mimosa adesso mi aveva acchiappat­o di nuovo il braccio, mi aveva preso la mano con la sua, me la stringeva. Insistette, piano: “Sia buono, su, dica che andiamo al teatro, a fare il provino”. Per la rabbia, stetti un momento silenzioso; e lei ne approfittò per soggiunger­e, sempre a bassa voce: “Se mi fa un provino, guardi, le do un bacio”. (...) Proposi: “A ndiamo a casa di Serafino... ha una gran bella casa... così, lì vi guarderò meglio tutte e due, e vi dirò se è il caso di fare questo provin o”. (…) Partimmo a tutta velocità verso i Parioli, dove era la casa. Durante il tragitto, Mimosa continuò a strofinars­i contro di me, parlandomi con voce insinuante, bassa, carezzevol­e. Non l’ascoltavo; ma, ogni tanto, sentivo la solita parola, sulla quale lei batteva come su un chiodo: “Il provino... mi fa il provino?... se facciamo il provino...” Ecco i Parioli, con le strade deserte, tra le case di lusso, tutte bal- coni e vetrate. Ecco la palazzina del padrone di Serafino, con l’ingresso di marmo nero, l’ascensore di mogano e cristallo. Andammo nel salotto; (...) Dissi, allora, applicando il mio piano: “Noi due, adesso vi guardiamo e voi altre camminate un po’ in su e in giù per il salotto... così mi faccio un’idea per il provino”. “Dobbiamo mostrare le gambe?” domandò Mimosa. “No, niente gambe... basta che passeggiat­e.” Docili presero a passeggiar­e in su e in giù, davanti a noi, sul pavimento di legno lustrato a cera. (…) Tutto a un tratto gridai: “Alt, basta, sedetevi”. Andarono a sedersi e mi guardarono con facce ansiose. Dissi, asciutto: “Mi dispiace, ma non and ate”. (…) “Io, per i miei film, non ho bisogno di ragazze fini, educate, distinte, signorili come siete voi... bensì di ragazze del popolo... ragazze che, magari, all’occorrenza, sappiano dire qualche parolaccia, che si muovano in maniera provocante, che sia- no, insomma, sguaiate, maleducate, rustiche... voi, invece, siete figlie di un ingegnere, siete ragazze di buona famiglia... non fate al caso mio”.

ALLORA MIMOSA

si mise le mani sui fianchi, ancheggian­do mi si avvicinò e mi diede un colpo in petto, dicendo: “Ah, bullo, con chi credi di parlare?” Se dicessi che era trasformat­a, direi troppo. In realtà era lei, al naturale. Risposi, ridendo: “Con le figlie di un ingegnere delle ferrovie”.“E invece siamo proprio quello che ci vuole... due ragazze del popolo basso... Iris sta a servizio, e io faccio l’infermiera...”. (…) “Intanto, se non avessimo detto le bugie, il signor Serafino non ci avrebbe presentato a lei... dunque è stato utile... beh, allora, questo provino?” “L’abbiamo già fatto”, risposi ridendo, “ed è servito a dimostrare che siete due brave ragazze del popolo.... anzi, bugia per bugia: io non sono produttore ma un semplice operatore e fotografo... e Serafino, qui, non è quel signore che pretende di essere: è autista.” Questa volta debbo dire che Mimosa resse il colpo magnificam­ente: “Beh, me l’aspettavo”, disse con malinconia, “siamo sfortunate... e se incontriam­o uno con la macchina, è un autista... andiamo Iris”.

A casa del produttore Adesso vi guardiamo e voi altre camminate per il salotto... Dobbiamo mostrare le gambe? Andiamo a casa di Serafino... ha una gran bella casa... così, lì vi guarderò meglio tutte e due e vi dirò se è il caso di fare un provino

 ?? LaPresse ?? Cinecittà Anni 50 Sophia Loren, Marcello Mastroiann­i e Federico Fellini davanti agli Studi; la dolce vita; lo scrittore Alberto Moravia
LaPresse Cinecittà Anni 50 Sophia Loren, Marcello Mastroiann­i e Federico Fellini davanti agli Studi; la dolce vita; lo scrittore Alberto Moravia
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