Il suono dell’esperienza non è poi così epico
Saranno premiati dalle vendite, ma non è un passaggio memorabile: senza guizzi
“Song of Experience sarà un disco epico”. Bono l’a veva calata giù pesante: così le aspettative sul nuovo album degli U2, che abbiamo ascoltato in anteprima e che uscirà il 1.12, non erano minime.
Song of Experienceè invece un disco... accessibile. Molto accessibile; e per questo poco epico. Non c’è la veracità e la grinta di War, non c’è la quadratura di The Joshua Threeo il dark di Achtung Babies, neanche la sperimentazione di Zooropa. Dal punto di vista musicale, il precedente Song of Innocence suonava forse più ispirato.
Qui dominano gli U2 pop, quelli più prevedibili, che puntano a rock tranquillo e mid/slow tempo con melodie da singolo. Probabilmente nei testi Bono si è espresso e raccontato con sincerità: il tema del cd è stato ispirato dal consiglio che Brendan Kennelly – scrittore irlandese e professore emerito presso il Trinity College di Dublino – gli ha rivolto: “Scrivere come se fossi morto”.
IL RISULTATOè una selezione di brani in forma di lettere intime dedicate alle persone e ai luoghi vicini al cuore del frontman che vuole salvare il mondo – che in parte ha riscritto le liriche dopo l’elezione di Trump e la Brexit ...Ed è molto bella la copertina di Anton Corbijn che ritrae i figli adolescenti di cantante e chitarrista degli U2, Eli Hewson (di Bono) e Sian Evans (di The Edge), in un modo che ricorda i dischi delle origini. Ma, dato questo mood, ci si trova ad ascoltare 13 tracce – per un totale di quasi un’ora di musica – che sinceramente non sorprendono e lasciano un po’ pochi- no. Strano, visto che la band aveva parlato di avere avuto grande ispirazione in fase compositiva. E che hanno collaborato un gran numero di produttori: Jacknife Leeand, Ryan Tedder, Steve Lillywhite,Andy Barlow, Jolyon Thomas. Troppi?
L’intro – Love is all we have left – è lirica, con uno strano effetto vocoder sul finale. Si parte sul serio con Lights of home, rock pop che non entusiasma. You’re the best thing about me è singolo estratto e non è male. Mentre Get out yur own way, mediocre, si chiude in modo imbarazzante con Lamar che con voce rappettara cerca di svecchiare, e lo fa male. American Soul è un 100% rock, Summer of love – feat. Lady Gaga – ha una melodia pop interessante.
DA QUI IN POI, l’ellepì prende un po’più di consistenza. Red Flag Dayha un basso e dei coretti che ricordano l’era post punk, The Showan (Little more better) ha stile e ritmo anni ‘60, vagamente shuffle. The little things that give you away propone suoni d’atmosfera, è uno slow tempo tipico alla U2 con chitarre eco: si candida a singolone. Landlady è una ballad un po’ preve- dibile ma non malvagia, mentre The Blackoutha intro alla Achtung Babies, con chitarra distorta, poi si sviluppa con basso anni ‘80, funkeggiante. Uno dei brani più interessanti e freschi del lotto. Love is bigger than anything in its way è un altro mid-tempo prevedibilino, come il titolo del brano; 13 l’outro di atmosfera a chiusura del cd, non necessaria. Detto ciò, gli U2 saranno premiati dalle vendite e faranno il tutto esaurito negli stadi; quindi, da un certo punto di vista, non hanno torto. Ma difficilmente chi segue la loro parabola dall’inizio considererà questo passaggio memorabile. I guizzi sono pochi, il mestiere c’è ma suona tutto banalotto. Dispiace che Bono sia rimasto invischiato nella faccenda dei Panama Papers, ma di più che gli U2 siano i fantasmi di ciò che erano.