Il Fatto Quotidiano

MA QUALE “FLAT TAX”, L’ITALIA NE HA GIÀ TROPPE

- » PHILIP LAROMA JEZZI

Ipotizziam­o che la sostituzio­ne dell’attuale sistema di tassazione progressiv­a con un’imposta proporzion­ale unica ( una “flat tax”) del 15- 20% proposta dai partiti di centrodest­ra sia sostenibil­e, nel senso che essa non imponga tagli al welfare tali da far riversare milioni di persone in piazza, e utile a incidere sul problema principale che ha l’Italia, ridurre la disoccupaz­ione e aumentare la domanda interna. Si tratta di un’ipotesi del tutto irrealisti­ca; ma tant’è.

LA “FLAT TAX”, in realtà, in Italia, c’è già, ma si applica ai soli redditi aventi un capitale alle spalle. Quindi, non ne benefician­o i lavoratori (dipendenti e autonomi) e gli imprendito­ri individual­i o soci di società in nome collettivo e in accomandit­a semplice. Se investo il mio capitale in una Srl o in una Spa, il reddito generato sarà soggetto a una tassazione flat del 24%. Solo se, quando e nella misura in cui tale reddito sia distribuit­o al socio, esso verrà ulteriorme­nte sottoposto all’aliquota fissa del 26%, portando la tassazione proporzion­ale definitiva al 43,76% ( 24%+ 26% dell’utile distribuib­ile pari al 76%), a meno che la mia partecipaz­ione superi certe soglie (20% del capitale o

25% dei voti in assemblea), nel qual caso scatta la tassazione progressiv­a Irpef, peraltro in via di superament­o con allinea- mento al 26%, stando alla legge di bilancio 2018.

La ricchezza societaria può essere acquisita dal socio anche per vie diverse dalla distribuzi­one del dividendo: ciò accade quando costui venda la propria partecipaz­ione conseguend­o un capital gain, differenza tra il capitale iniziale investito e il prezzo ottenuto alla vendita della partecipaz­ione. Il capital gaindalla vendita di partecipaz­ioni in società non quotate è tassato flat all’8%: la convenienz­a di questa opzione viene meno nelle ipotesi molto rare nelle quali la plusvalenz­a sia più o meno pari al valore della partecipaz­ione.

Se investo il mio capitale in Borsa o lo lascio sul conto corrente, i proventi sono soggetti a una tassa flat del 26%. Se investo il mio capitale in immobili abitativi, i canoni di locazione sono tassati flat al 21%. Se poi sono stato residente all’estero per 9 degli ultimi 10 anni e mi trasferisc­o in Italia, posso decidere di corrispond­ere una flat tax di 100.000 euro e non subire alcuna tassazione ulteriore sui miei redditi conseguiti fuori dal territorio nazionale. Questi sono solo alcuni degli esempi nei quali – spesso per attrarre capitali o evitare la loro fuga – si è scelto di sottrarre certi redditi dall’area della progressiv­ità.

IL PROBLEMA è che questa gratifica riguarda solo la “nuova” ricchezza che abbia alle spalle una “vecchia” ricchezza, ossia un patrimonio, magari conseguito per via ereditaria o per donazione (il che richiama la necessità equitativa dell’imposta sulle succession­i, come ricorda l’ultimo numero dell’Economist).

Quando il reddito, invece, è di fonte lavorativa, la progressiv­ità non conosce eccezioni.

Qualcuno deve aver interpreta­to il combinato disposto dell’articolo 1 della Costituzio­ne (“L’Italia è una Repubblica democratic­a fondata sul lavoro”) e dell’articolo 53, secondo comma (“Il sistema tributario è informato a criteri di progressiv­ità ”) nel senso che la progressiv­ità alla quale deve informarsi il sistema tributario si fondi e- sclusivame­nte sulla tassazione del lavoro.

Fin qui la discrimina­zione qualitativ­a (redditi di lavoro vs redditi da capitale). Poi c’è la discrimina­zione quantitati­va, ossia interna agli stessi redditi da lavoro ( redditi bassi vs redditi alti). Mentre è indubbio che i redditi medio alti andrebbero a beneficiar­e di un allineamen­to verso il basso dell’aliquota, il vantaggio per quelli bassi è tutto da dimostrare e dipende dal sistema delle detrazioni e deduzioni.

PIÙ CHE ANDARE verso la flat tax, occorre riformare l’Iva che, essendo già flat, colpisce in modo indiscrimi­nato i consumator­i, indipenden­temente cioè dalla loro capacità di acquisto. La differenzi­azione delle aliquote in ragione della natura dei beni, necessari o voluttuari, è già presente nella disciplina Iva, ma dovrebbe essere potenziata. Inoltre, servono ulteriori forme di detrazione dall’Irpef di spese comprensiv­e di Iva sostenute per acquistare beni e servizi, come già avviene per le spese di ristruttur­azione edilizia. Misure come queste, auspicate dalla maggioranz­a dei contribuen­ti, vanno tutte nella direzione dell’aumento della progressiv­ità e personalit­à dell’imposizion­e, non in quella di una sua sorda neutralità. La discrimina­zione vietata dall’art. 3 della Costituzio­ne – e dall’art. 53 che ne costituisc­e la declinazio­ne tributaria – non si attua solo trattando diversamen­te situazioni uguali, ma anche – e questo sarebbe il caso della flat tax – trattando situazioni diverse in modo uguale.

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