MA QUALE “FLAT TAX”, L’ITALIA NE HA GIÀ TROPPE
Ipotizziamo che la sostituzione dell’attuale sistema di tassazione progressiva con un’imposta proporzionale unica ( una “flat tax”) del 15- 20% proposta dai partiti di centrodestra sia sostenibile, nel senso che essa non imponga tagli al welfare tali da far riversare milioni di persone in piazza, e utile a incidere sul problema principale che ha l’Italia, ridurre la disoccupazione e aumentare la domanda interna. Si tratta di un’ipotesi del tutto irrealistica; ma tant’è.
LA “FLAT TAX”, in realtà, in Italia, c’è già, ma si applica ai soli redditi aventi un capitale alle spalle. Quindi, non ne beneficiano i lavoratori (dipendenti e autonomi) e gli imprenditori individuali o soci di società in nome collettivo e in accomandita semplice. Se investo il mio capitale in una Srl o in una Spa, il reddito generato sarà soggetto a una tassazione flat del 24%. Solo se, quando e nella misura in cui tale reddito sia distribuito al socio, esso verrà ulteriormente sottoposto all’aliquota fissa del 26%, portando la tassazione proporzionale definitiva al 43,76% ( 24%+ 26% dell’utile distribuibile pari al 76%), a meno che la mia partecipazione superi certe soglie (20% del capitale o
25% dei voti in assemblea), nel qual caso scatta la tassazione progressiva Irpef, peraltro in via di superamento con allinea- mento al 26%, stando alla legge di bilancio 2018.
La ricchezza societaria può essere acquisita dal socio anche per vie diverse dalla distribuzione del dividendo: ciò accade quando costui venda la propria partecipazione conseguendo un capital gain, differenza tra il capitale iniziale investito e il prezzo ottenuto alla vendita della partecipazione. Il capital gaindalla vendita di partecipazioni in società non quotate è tassato flat all’8%: la convenienza di questa opzione viene meno nelle ipotesi molto rare nelle quali la plusvalenza sia più o meno pari al valore della partecipazione.
Se investo il mio capitale in Borsa o lo lascio sul conto corrente, i proventi sono soggetti a una tassa flat del 26%. Se investo il mio capitale in immobili abitativi, i canoni di locazione sono tassati flat al 21%. Se poi sono stato residente all’estero per 9 degli ultimi 10 anni e mi trasferisco in Italia, posso decidere di corrispondere una flat tax di 100.000 euro e non subire alcuna tassazione ulteriore sui miei redditi conseguiti fuori dal territorio nazionale. Questi sono solo alcuni degli esempi nei quali – spesso per attrarre capitali o evitare la loro fuga – si è scelto di sottrarre certi redditi dall’area della progressività.
IL PROBLEMA è che questa gratifica riguarda solo la “nuova” ricchezza che abbia alle spalle una “vecchia” ricchezza, ossia un patrimonio, magari conseguito per via ereditaria o per donazione (il che richiama la necessità equitativa dell’imposta sulle successioni, come ricorda l’ultimo numero dell’Economist).
Quando il reddito, invece, è di fonte lavorativa, la progressività non conosce eccezioni.
Qualcuno deve aver interpretato il combinato disposto dell’articolo 1 della Costituzione (“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”) e dell’articolo 53, secondo comma (“Il sistema tributario è informato a criteri di progressività ”) nel senso che la progressività alla quale deve informarsi il sistema tributario si fondi e- sclusivamente sulla tassazione del lavoro.
Fin qui la discriminazione qualitativa (redditi di lavoro vs redditi da capitale). Poi c’è la discriminazione quantitativa, ossia interna agli stessi redditi da lavoro ( redditi bassi vs redditi alti). Mentre è indubbio che i redditi medio alti andrebbero a beneficiare di un allineamento verso il basso dell’aliquota, il vantaggio per quelli bassi è tutto da dimostrare e dipende dal sistema delle detrazioni e deduzioni.
PIÙ CHE ANDARE verso la flat tax, occorre riformare l’Iva che, essendo già flat, colpisce in modo indiscriminato i consumatori, indipendentemente cioè dalla loro capacità di acquisto. La differenziazione delle aliquote in ragione della natura dei beni, necessari o voluttuari, è già presente nella disciplina Iva, ma dovrebbe essere potenziata. Inoltre, servono ulteriori forme di detrazione dall’Irpef di spese comprensive di Iva sostenute per acquistare beni e servizi, come già avviene per le spese di ristrutturazione edilizia. Misure come queste, auspicate dalla maggioranza dei contribuenti, vanno tutte nella direzione dell’aumento della progressività e personalità dell’imposizione, non in quella di una sua sorda neutralità. La discriminazione vietata dall’art. 3 della Costituzione – e dall’art. 53 che ne costituisce la declinazione tributaria – non si attua solo trattando diversamente situazioni uguali, ma anche – e questo sarebbe il caso della flat tax – trattando situazioni diverse in modo uguale.