Ikea, il regno del part-time: orari stabiliti da un software
NONÈLASVEZIA Dopo la mamma cacciata
“Iol'Ikea non la riconosco più. Per anni è stata da esempio per come ha gestito i rapporti con i dipendenti e con i loro rappresentanti; ora non so che fine abbia fatto”. Chi parla è stata assunta nel 2005 nella sede di Padova del colosso svedese dei mobili. Oggi non è l'unica a denunciare il peggioramento del clima e delle condizioni di lavoro. In questi giorni, alcuni licenziamenti finiti sulle cronache hanno suscitato indignazione. Su tutti, quello di una donna, in servizio nello store di Milano, allontanata malgrado la sua complicata situazione famigliare: separata, con due figli piccoli dei quali uno disabile; gravi problemi personali l'hanno costretta negli ultimi mesi a usufruire di tutti i permessi possibili. Viste le difficoltà a incastrare i turni in modo da permetterle di badare al bambino, si è autodeterminata gli orari di lavoro in un paio di occasioni. Così, a metà novembre, è stata mandata a casa per motivi disciplinari. “Da parte sua episodi di insubordinazione”, hanno spiegato da Ikea. “Non crediamo che l'impresa non possa creare un turno che concili tempi di lavoro e famiglia”, ha detto ieri Susanna Camusso.
PER I SINDACATI, infatti, quel fatto racconta il cambiamento di un'azienda non più attenta ai rapporti umani. Azienda che lega i turni a un algoritmo. Il software sa come sarà il tempo, le date fe- stive e conosce altre variabili che gli permettono di prevedere i periodi di maggiore affluenza ai negozi. Ai lavoratori, quindi, è stata chiesta maggiore flessibilità, rendendo irregolari i turni dei part time. Il dato aggiornato ad agosto 2016 dice che dei 6.500 dipendenti Ikea nei 24 centri commerciali italiani il 66% ha un rapporto a tempo parziale. Tra questi, c'è chi vorrebbe trasformare il contratto in full time e sta tentando di convincere l'azienda ad aumen- tare le ore, finora senza riuscirci. “Non si capisce perché non ci accontentano – spiega la lavoratrice di Padova – visto che comunque poi chiamano lavoratori interinali”. Altri, invece, avevano accettato il part time proprio perché avevano bisogno di tempo libero da dedicare alla famiglia o a un secondo lavoro. “Ora è difficile farlo perché le fasce orarie non sono più rigide – dice un altro dipendente, impiegato a Bari – perché hanno fatto firmare le clausole elastico-flessibili pagate 12 euro lordi al mese. A volte si può arrivare a fare dieci weekend di seguito: pensate a chi ha figli, che per due mesi non riesce a passare la domenica con loro”.
Lavorare nei festivi, tra l'altro, non è più remunerato come prima. Il vecchio contratto aziendale prevedeva una maggiorazione del 130%, ora è diventato del 60%. Ikea, poi, ha deciso per quest'anno di aprire anche il 26 dicembre e a Pasquetta, per rincorrere la concorrenza: anche questo ha causato malumori.
Eppure, un modo per bilanciare lavoro e famiglia era stato pen- sato proprio nell'ultimo contratto integrativo, firmato a gennaio 2016. Si chiama “Time” e gioca sulla coincidenza tra la traduzione inglese della parola “tempo” e l'acronimo “trovare insieme il migliore equilibrio”. Avrebbe dovuto creare un sistema con il quale ognuno si sceglie il turno, aderendo spontaneamente (con rotazioni in caso di coincidenze). In alcuni store non è mai diventato realtà, in altri non ha funzionato granché. Così le decisioni sono rimaste di fatto in capo all'azienda sulla base dell'algoritmo.
“Ikea vuole liberarsi dei dipendenti più anziani, quindi più costosi – sostiene Ivana Veronese, segretaria Uil Tucs – Propongono incentivi per chi si dimette e abbiamo saputo di casi di persone demansionate e spostate in reparti meno gr adit i”. Secondo Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams Cgil, “l'azienda, se vuole tornare a rappresentare il modello di welfare svedese, dovrebbe revocare i licenziamenti contestati e sedersi al tavolo per ridiscutere dell'organizzazione del lavoro”.
Le critiche
Il 66% costretto al tempo parziale con turni diversi: “Capita di fare dieci weekend di seguito”