Il Fatto Quotidiano

RIFLE, “VECCHI” LICENZIATI COL CONTAGOCCE

I sindacati temono che l’azienda dei jeans continui a mettere alla porta i più anziani

- » FRANCESCA FORNARIO

Ci spiegano che dobbiamo lavorare fino a 70 anni, che ce lo chiede l’Europa dove nessun altro va in pensione così tardi ma noi sì perché siamo i più fortunati: viviamo più a lungo. Poi però ci spiegano che, sfortunata­mente, a 46 anni siamo troppo vecchi per fare il lavoro che stiamo facendo. Il lavoro che facciamo da 25 anni e che se l’azienda non chiude contiamo di fare per altri 25, quelli che ci mancano alla pensione che ci darete solo a 70 anni, sempre che nel frattempo non saremo diventati così fortunati da campare più a lungo e allora in pensione dovremo andarci più tardi.

Sta di fatto che, a 46 anni, siamo diventati troppo vecchi. Anche se i 46 anni di oggi non sono quelli dei nostri genitori: oggi a 46 anni si indossano ancora i jeans. Ma si è troppo vecchi per vendere i jeans ai cin- quantenni che indossano i jeans. Troppo vecchi per lavorare alla Rifle, il marchio che si fregia di aver prodotto per primo in Italia i “pantaloni americani”, come si chiamavano nel Dopoguerra, e di averli esportati in tutto l’Est europeo: 3 milioni di capi venduti nel 1988 nei mitici magazzini Gum di Mosca, nella scricchiol­ante Unione Sovietica della Perestrojk­a dove i jeans erano stati una delle merci più pregiate del contrabban­do e quelli originali Usai venivano spacciati in cambio dell’intero stipendio di un ingegnere. Il periodo d’oro della Rifle: che nel decennio successivo arriva a produrre dieci milioni di capi ogni anno. Ancora oggi “Rifle” (Riflicka), in Slovacchia e Repubblica Ceca, è sinonimo di jeans. L’azienda aveva centinaia di dipendenti, capannoni con le macchine da cucire allineate, la cura dei dettagli, l’artigianat­o italiano, si diceva allora, fiore all’occhiello del made in Italy.

Poi le macchine da cucire delle grandi firme italiane sono volate in Turchia, in Tunisia, nei paesi dell’est che prima sognavano i jeans.

Così alla Rifle di Barberino del Mugello sono in rimasti una quarantina di dipendenti, da 450 che erano 15 anni fa. Spediscono nei negozi, prendono gli ordinativi, riempiono le bolle. Ci sono però anche gli stilisti che sono troppo vecchi per essere stilosi, secondo il parere dell’azienda, anche se i jeans che vanno di moda oggi sono identici a quelli di quando avevano 20 anni.

“Un ’ a zi e nd a che lavora nella moda non può permetters­i di avere un personale con un’età anagrafica così elevata”, ha spiegato l’amministra­tore delegato Franco Marianelli – l’ad imposto dal fondo svizzero di private equity che a giugno ha acquisito il 44 per cento dell’azienda – a Alessandro Picchioni della Filctem Cgil.

Il sindacato aveva chiesto alla Regione di aprire un tavolo con l’azienda dopo che cinque dipendenti erano stati licenziati senza preavviso, a ottobre e novembre. Rifle nel 2016 ha fatturato 21 milioni, in linea con l’anno precedente, per il 95 per cento in Italia, ma ha bisogno di rilanciars­i e in- vestire sul web e i mercati esteri. “D’accordo, ma potrebbero fare formazione al personale, aggiornare le competenze dei dipendenti”, dice Picchioni: “E dovrebbero comunque comunicare al sindacato che intenzioni hanno, se questa è una ristruttur­azione”.

La Regione si è resa disponibil­e per gli ammortizza­tori sociali, ma l’azienda non ha presentato alcun piano né si è impegnata fare una vertenza collettiva.

Il timore dei sindacati è che si continui con i licenziame­nti individual­i dei più anziani, che le lettere arrivino senza preavviso, che ci si ritrovi in tanti nel limbo dei disoccupat­i troppo vecchi per trovare lavoro e troppo giovani per andare in pensione: “Con i figli che studiano e il mutuo da pagare...”, nel Paese che non è fondato sul lavoro ma sul profitto delle grandi aziende.

A Barberino del Mugello sono rimasti 40 operai, dai 450 di 15 anni fa La produzione è stata spostata all’estero

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C’era una volta... Lo stabilimen­to toscano di Rifle

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