Benvenuti tra i 2300 fantasmi e la droga dell’Hotel House
Porto Recanati, degrado e violenza in una bomba sociale “gestita” da gruppi criminali
Messaoud Mekhalef ha 46 anni, è algerino ed è uno degli oltre duemila inquilini dell’Hotel House a Porto Recanati (Mc), l’ex residence di lusso per le vacanze estive trasformato in un grattacielo-ghetto.
Messaoud soffre di siringomielia, una malattia neurologica e da quasi un anno non esce di casa. Dovrebbe essere sottoposto a un intervento di neurochirurgia, altrimenti, costretto a muoversi con un carrellino e senza l’uso degli arti inferiori, dentro quell’appartamento di 60 metri quadrati Messaoud prima o poi ci morirà. “Vivo solo qui dentro e, a parte qualche amico che ogni tanto mi viene a trovare, nessuno mi aiuta”. Quando anche l’ultimo degli otto ascensori del condominio multietnico è stato dichiarato fuori uso, per Messaoud è stata la fine: “Sono in Italia dal 1991, tra Porto Recanati e Villa Literno. Ho fatto il bracciante agricolo, raccoglievo pomodori d’estate e tagliavo broccoli d’inverno, ho lavorato in catena di montaggio nelle fabbriche, preso la licenza media e mi sono iscritto all’al b e rghiero di Loreto. Senza ascensori non posso uscire. Sono giù di morale, non so quanto reggerò”. Una delle mille storie nascoste dentro le nebbie che avvolgono il futuro dell’Hotel House.
SMARRITI i fasti del passato, da vent’anni il palazzone tempestato di panni stesi e parabole sta marcendo. Meno di un mese fa un pensionato italiano, Pietro Canistrà, è morto su una panchina fuori dall’edificio: non riusciva più a salire le scale fino all’ottavo piano ed è stato stroncato dal freddo. La struttura – 17 piani, 480 appartamenti, 2.300 persone, di cui 500 bambini, che in estate raddoppia la sua popolazione con arrivi stagionali – è alla periferia sud di Porto Recanati, immensa piazza di spaccio (ora gestita da gruppi pakistani) tra la statale 16 e la campagna. Degrado totale, senza acqua potabile, fogne quasi a cielo aperto, immondizia ovunque e garage nei sotterranei sotto sequestro per droga e violenze.
Nel novembre del 2010 un tunisino di 25 anni, Lofty Draif, è stato pestato a sangue fino alla morte e il corpo abbandonato sul piazzale. Dentro, il progetto di integrazione che fino al 2005 stava cercando di decollare, è fallito: “È andata in scena la politica dell’improvvisazione”, sostiene Giorgio Cingolani, regista del docufilm H omew ard bound – sulla strada del ritorno, girato con attori dilettanti presi proprio all’Hotel House. Il palazzo è così da anni, non c’è stata alcuna progettualità, so- lo misure tampone. Più che un ghetto l’Hotel House è una enclave, l’esempio vivente del fallimento del modello italiano sulle politiche migratorie”. Edificato nel 1967 senza autorizzazioni (il costruttore milanese, pochi mesi dopo l’inaugurazione, con le vendite degli appartamenti a rilento e il ti- more di una bolla immobiliare, si è tolto la vita lanciandosi da uno dei balconi della sua creatura) l’Hotel House ha ospitato le vacanze delle famiglie del ricco Nord. Tra i piani e le scale si sono nascosti pezzi delle Brigate rosse, il “Bel René” Renato Vallanzasca e Francesco “Sandokan” Schiavone. Per decenni le istituzioni hanno preferito dimenticarsi dell’Hotel House, mettendo la polvere sotto il tappeto.
ORA LA BOMBA sta esplodendo ed è qui che si inserisce la figura del nuovo sindaco di centrodestra, Roberto Mozzicafreddo. Spaventato da quan- to accaduto in quei giorni alla Grenfell Tower di London, ha deciso di metterci la faccia. Nel luglio scorso ha emesso un’ordinanza basata sul sistema antincendio, inesistente: o si trovano i soldi per colmare un buco tra i 2,5 e i 3 milioni di euro, costringendo gli inquilini morosi a pagare le rate condominiali, oppure via libera allo sgombero. L’ordinanza scade l’8 dicembre: “La soluzione finale? Sto valutando – dice Mozzicafreddo, eletto nel giugno 2016 dopo un anno di commissariamento –, ma non escludo l’opzione sgombero. Prefettura, questura e protezione civile sono stati avvisati, spetterà loro la gestione. Esistono rischi concreti per la sicurezza e la legalità, io mi devo tutelare. La relazione antincendio dei vigili del fuoco non lasciava dubbi. Visto che nessuno paga, in primis i ricchi proprietari italiani, non ho alternative. Entro il 2021 quel bubbone lo risolvo”.
IL SINDACO ROBERTO MOZZICAFREDDO
È un enorme problema di sicurezza: non escludo lo sgombero E non paga nessuno, in primis i ricchi proprietari italiani
TRA I CREDITORI figurano Enel, 300 mila euro, e Astea, la società che gestisce l’acqua, 400 mila euro. Dei 480 appartamenti, 105 sono stati pignorati per morosità, passando sotto il controllo delle banche e 80 risultano ufficialmente vuoti. Uno di questi, ad ottobre, è andata a fuoco. Venderli è ormai impossibile, al catasto sono valutati 42 mila euro, ma oggi nessuno ne investirebbe neppure 5 mila: “Nel 2002 io l’ho pagato 35 mila euro. Ancora si stava bene, ma le cose iniziavano a peggiorare” racconta Enzo Franchi, pensionato aretino, uno dei dieci italiani rimasti nel palazzone, dopo aver lavorato per anni a Milano come soffiatore di vetro, un giorno ha visto la pubblicità dell’Hotel House. E non ci ha pensato su due volte: “Mi piaceva pescare e le Marche erano il posto giusto per passare la vecchiaia. La vista dal 14° piano è favolosa. Ma senza ascensori adesso per me, che mi sono operato a un’anca, fare ogni volta 28 rampe di scale è dura”.